Dalla conquista alla perdita, dalla legittima felicità alla sofferenza, dall’alienazione alla voglia di riscatto: la vita di Carmela Sermino.

Nella casa di corso Vittorio Emanuele, un attimo prima c’erano i calici alzati per brindare al nuovo anno, qualche secondo dopo le urla strazianti laceravano il silenzio piombato in fretta tra lo sgomento e lo stordimento. Un colpo sparato da qualche delinquente per salutare il nuovo anno – siamo nel 2007-  aveva colpito alle spalle Giuseppe Veropalumbo, giovane carrozziere di 30 anni, mentre festeggiava con i suoi parenti, la moglie Carmela e la piccola Ludovica di pochi mesi.

Sono passati più di cinque anni: l’assassino di Giuseppe ancora non è stato identificato e, nonostante le indagini siano ufficialmente ancora in corso, ufficiosamente sono chiuse.

A Carmela il governo non riconosce nessun sostegno come per le famiglie delle vittime innocenti di camorra, perché le indagini ancora in alto mare non hanno dimostrato che ad ucciderlo fosse stato un camorrista o un affiliato dei clan locali. Lo scorso gennaio, il presidente della Commissione Consiliare d’Inchiesta Anticamorra Gianfranco Valiante – sostenuto dai consiglieri Angelo Marino, Angelo Polverino, Angela Cortese e Antonio Amato – presentò la proposta “Interventi regionali in materia di sostegno alle vittime della criminalità organizzata e comune” al fine di equiparare le vittime della ‘criminalità organizzata’ con quelle della cosiddetta ‘criminalità comune’.
La proposta doveva essere discussa in Commissione Anticamorra, per poi essere approvata al Consiglio Regionale, dopodiché anche Carmela, come molti altri, avrebbe ottenuto un piccolo sussidio come risarcimento.
Ma anche qui è calato il silenzio.

Fino alla scorsa estate, Carmela per sostenere se stessa e la sua bambina, lavorava come segretaria amministrativa al Teatro Trianon Viviani, incarico a tempo determinato ottenuto grazie all’interessamento alla sua vicenda del cantautore Nino D’Angelo, allora direttore artistico della struttura napoletana. La regione Campania e la provincia di Napoli, lo scorso anno, decisero poi di cambiare destinazione all’edificio e… per Carmela non c’era più posto!

Un’estate trascorsa davanti Palazzo Santa Lucia, passando da uno studio televisivo all’altro per raccontare la sua storia e urlare la sua rabbia, le è valsa un contratto a tempo determinato lo scorso gennaio. Un lavoro che le restituisce la dignità di donna violentata dalla società del malaffare e le permette di crescere e allevare la sua bimba amorevolmente e dignitosamente.

Nel frattempo, Carmela ha lasciato la città del suo incubo, si è trasferita altrove “perché non sopportava sulla sua Ludovica lo sguardo compiaciuto della gente” – dice sfregandosi le mani, con gli occhi bassi per nascondere il dolore. Quella stessa gente che all’inizio le è stata vicina ma che poi, inevitabilmente, ha finito per dimenticare un’altra brutta storia tutta oplontina.

Nel suo racconto, nel quale col sorriso di ragazza cerca di cancellare l’amarezza e la delusione di donna, ritornano alcuni nomi – quelli del Procuratore della Repubblica di Torre Annunziata Diego Marmo, del giornalista Carmine Alboretti e del sindaco Giosuè Starita – che sono entrati nella sua vita e che difficilmente ne usciranno per “l’interessamento umano al di là dell’incarico professionale”.

Umanità e partecipazione che le sono giunte, inaspettatamente, da ogni parte dello stivale: una famiglia del milanese, ancora oggi, tramite posta, spedisce regali per lei e la sua bambina per dimostrarle vicinanza e affetto.
Sul popolare social network Facebook, spontaneamente, è nato un gruppo in suo sostegno “Aiutiamo Carmela Sermino” che si propone di mantenere viva l’attenzione su una vicenda che scosse, e ancora scuote, le coscienze di quanti sono consapevoli delle ingiustizie che continuano ad essere perpetrate ai danni di una persona che chiede, semplicemente, di lavorare e di superare le brutture che la vita le ha riservato.

Per Ludovica, che oggi ha cinque anni e per fortuna ancora non riesce a dare un senso alla sua vicenda familiare, è stato istituito un fondo di 5000 euro per sostenere i suoi studi futuri dalla Rete Informagiovani dei comuni di Torre Annunziata, Boscoreale, Boscotrecase, Trecase e Pompei. Un giudice tutelare, nominato dalla stessa Carmela, dovrà vigilare sull’utilizzo del danaro disponibile al compimento del 18° anno della bambina.

Un piccolo gesto di solidarietà che, però, non dà certezze ad una madre che vive oggi il dramma della precarietà lavorativa.

 
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