Il 13 dicembre, nella sala del consiglio comunale di Pompei, promossa dall’Assessorato all’urbanistica, si è svolta la prevista conferenza sul PUC. Il PUC è uno strumento di grande importanza per un paese perché predispone le basi per il raggiungimento di obiettivi di crescita e sviluppo del territorio.

La Pro-Loco di Pompei, ha partecipato all’incontro rappresentata dal sottoscritto. Nonostante le oltre cento associazioni che si annoverano nell’Albo comunale, la partecipazione è stata deplorevolmente molto scarsa.
Dalle analisi propedeutiche, un dato comunque emerge con grande rilevanza, messo in risalto anche in sede di conferenza e cioè che Pompei ha uno standard urbanistico tra i più bassi, non dico della Campania, ma probabilmente mondiale. Tanto che con nota colorita siamo stati indotti a paragonare la nostra città ad un paese medio-orientale.

Lo standard urbanistico è il coefficiente che misura, in termini di servizi, la dotazione che ciascuna città ha a disposizione dei propri cittadini. Ebbene è emerso che il grande attrattore turistico della Campania, ha una disponibilità di spazi pubblici attrezzati e servizi alla collettività tra i più bassi al mondo. L’impegno, ci auguriamo, da parte di tutti, dovrà essere quello di elevare tale coefficiente.

La mancanza di infrastrutture e strutture collettive è un dato che misura la qualità della vita di una città, ma se pensiamo che sul nostro territorio manca l’essenziale, dobbiamo naturalmente riconoscere che per lungo, troppo tempo nessuno ha mai operato nell’interesse generale della nostra città. Viceversa a fronte di una densità abitativa, cresciuta in molti casi senza regole e programmazione, il dato dovrebbe far riflettere sul futuro assetto urbano.

Sarebbe, attraverso il PUC, giunto il momento opportuno di mettere mano ad una svolta in tal senso. Questa defaillance si ripercuote inevitabilmente sulla economia della intera città e, presupposto che il territorio ha potenzialità turistiche, senza i necessari servizi, siamo destinati al declino. Non può dunque meravigliare se il turismo si è trasformato in una sorta di fugace visita ai luoghi più importanti di Pompei.
Chi è maggiormente penalizzato da tale stato di cose è il settore commerciale il quale non riesce a godere dei grandi flussi turistici che arrivano, ogni anno, nella nostra città. La potenziale ricchezza, diventa poca cosa ad appannaggio di altre realtà meglio organizzate.

La centralità del problema è che sul nostro territorio, e lo diciamo da anni, mancano le più elementari forme di servizio al paese: le infrastrutture (parcheggi, verde e viabilità), centri di accoglienza turistica, servizi primari (asili nido, centri sociali, luoghi di aggregazione, spazi per lo sport ed tempo libero); né vi è una prospettiva di operare verso un rinnovamento dell’offerta turistica o nuove forme di proposte quale potrebbe essere quella convegnistica.
In effetti sembra alla fine mancare una idea di progetto per la città.

L’osservazione che ha suscitato maggiore interesse, atteso che ci siano le condizioni intellettive per comprenderne la portata, è quella di creare le condizioni fisiche e materiali di una maggiore integrazione tra la città antica e la città moderna. Il tema è stimolante, ma è anche una prospettiva ed un obiettivo che sul piano culturale ha una notevole importanza.
La città in effetti oggi manca di una precisa identità sia storica, sia culturale. Essa rappresenta un coacervo di presenze diffuse e separate. Da una parte il grande sito archeologico, dall’altro il santuario mariano. Le due realtà vivono come separati in casa. Ciascuno opera nel proprio ambito.

Nel corso degli anni, il tessuto urbano è cresciuto in modo indifferenziato occupando spazi disponibili con una edilizia diffusa e disomogenea. Le direttive politiche, che avevano il compito di guidare lo sviluppo della città, si sono sempre sottratte dai propri compiti istituzionali, offrendo solo appannaggi clientelari. Riformulare sul piano programmatico, un diverso assetto del territorio oggi risulta estremamente complicato.
La prospettiva viceversa di individuare un tema di fondo, sostenibile sul piano disciplinare e culturale e cioè quello di creare condizioni di integrazione tra le due grandi realtà locali, può essere la risposta giusta. Ovviamente ciò ha bisogno di una profonda riflessione e, soprattutto, capire quale deve essere la città del prossimo futuro.

Il nostro contributo è quello di indicare un percorso serio e condivisibile. Porre al centro della discussione, in modo diverso, l’approccio alla realtà urbana ove coinvolgere le due istituzioni ad uno sforzo comune affinchè ciascuno faccia la propria parte, derubricando ed abbandonando una visione miope del trascorso storico ed individuando un modello di sviluppo capace di dare una svolta significativa alla crescita della città, riteniamo sia doveroso.
L’integrazione dei due poli, significa dare un assetto urbano alla città che si discosta da improvvisazioni e scelte errate, che si sono verificate anche di recente.

Il territorio pompeiano vive, fin dalla sua nascita una profonda contraddizione. E’ stata immaginata una città monocentrica ove il fulcro centrale è rappresentato dal santuario mariano, attorno al quale si è sviluppato un tessuto urbano che ha penalizzato fortemente le zone periferiche intese, queste ultime, in termini storici. Le periferie, viceversa, si sono estese fino a ridosso dell’area centrale di Pompei. Basta spostarsi di pochi metri per incorrere in un terreno abbandonato.
Questa contraddizione o se vogliamo mancanza di visione complessiva del territorio, già esistente in termini classici, si è accentuata negli ultimissimi anni. La forte centralizzazione ha marginalizzato tutto il resto. Strade abbandonate e dissestate, periferie ghettizzate, mancanza di distribuzione della ricchezza locale etc.

Quello che viceversa, la Pro Loco suggerisce è di considerare il territorio non più monocentrico ma policentrico ove, in ogni caso i due maggiori poli, siano rappresentati dal santuario e dagli scavi antichi. Tale scelta, ove mai fosse condivisa, aprirebbe uno scenario del tutto diverso in quanto implicherebbe un diverso e nuovo assetto della città; nuove direttrici di sviluppo; una diversa viabilità; una nuova distribuzione di rete commerciale; un più adeguato sistema di servizi e di infrastrutture distribuito sul territorio a supporto di uno sviluppo urbano moderno.

Le città medioevali avevano assunto questa caratteristica e cioè quella della centralità feudale, rappresentata dalla dimora del signore di turno, attorno alla quale si sviluppava tutto il resto. Oggi le realtà urbane vivono di nuove esigenze e nuove aspettative, se vogliamo più democratiche nel senso che non possono essere lasciati interi settori sociali fuori da un processo di sviluppo socio-economico.
Basta pensare che la moderna concezione dell’urbanistica tende a creare eventi architettonici compatibili –nonché selettivi – con la realtà storico-culturale, vocazionale, sociale del territorio (polo commerciale, cittadella giudiziaria o un centro direzionale, area fieristica, la città della cultura, il museo, la città universitaria o dello studente, la città della musica o del cinema, un auditorio….) che sono tutti elementi per dare risalto alle aree urbane o a segmenti territoriali.

Se guardiamo con attenzione cosa hanno fatto altre città ci rendiamo conto che viviamo di profonda arretratezza culturale dalla quale non è pensabile sprecare altro tempo. Del resto non è più concepibile che il territorio, attorno agli scavi di Pompei, debba necessariamente essere sottoposto a tutela integrale di inedificabilità assoluta. Esso deve essere un elemento di ulteriore stimolo e qualificazione ambientale-territoriale ove la tutela si trasformi in una opportunità per la creazioni di eventi di alto contenuto culturale per il rilancio dell’intero comprensorio vesuviano.

 
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