Mentre fervono i preparativi per la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sull’Altipiano di Asiago per ricordare i cento anni dall’inizio del profugato (l’esodo iniziò il 16 maggio 1916), continuano al Museo “Le Carceri” le mostre sull’immane catastrofe della Prima Guerra Mondiale.

Dopo il successo de il “Fronte Veneto della Grande Guerra” (con circa 8000 visitatori) con questa nuova mostra inaugurata il 24 marzo, gli organizzatori hanno voluto mettere in risalto la figura e il ruolo del Cappellano Militare, prendendo lo spunto da una foto esposta nella precedente mostra che aveva incuriosito suscitando particolare interesse i visitatori non solo altopianesi. La foto era quella di don Giovanni Rossi e il suo attendente.

Giovanni nacque a Sasso piccola frazione del comune di Asiago nel 1886. Povertà e miseria di quei tempi costringeva la gente della contrada ad emigrare. I genitori di Giovanni andavano a far carbone in Austria o Germania. Erano anni assai duri segnati dalla fatica del quotidiano. Ma il ragazzo aiutato anche dal curato di Sasso riuscì a studiare fino a ottenere il diploma di maestro elementare.

Entrò in seminario a 16 anni e fu consacrato sacerdote nel 1912. Nel 1915 quando scoppiò la guerra fu richiamato e inviato al fronte. Da maggio 1916 al 31 ottobre 1917 fu cappellano militare del Primo Reggimento Granatieri di Sardegna. Lo troviamo al fronte nelle vicinanze del paese natio il “Monte Cengio” una delle zone dove l’urto dell’offensiva austriaca di primavera del 1916 venne fermata e dove i Granatieri di Sardegna si sono battuti eroicamente senza tregua. I Granatieri vengono in seguito spostati sul Carso, anche qui aspre battaglie con centinaia di migliaia di caduti da entrambe le parti. A quota 235 di fronte all’Hermada dopo 12 giorni si sanguinosi combattimenti dal 23 maggio al 5 giugno 1917, per il suo operato e dedizione viene conferita a don Giovanni la medaglia d’argento. Viene fatto prigioniero nei pressi di Codroipo il 31 ottobre 1917 e passerà 12 mesi in Ungheria “in una lotta continua mortale più aspra di un combattimento”, così scrive nel suo diario.

Rientra in Italia nel 1919 dove fino al 1924 le vengono assegnate alcune parrocchie della diocesi di Padova. Lascia l’Altopiano il 6 ottobre 1925 con l’incarico di economo spirituale a Roncajette una parrocchia del comune di Ponte San Nicolò (alle porte di Padova), che reggerà in seguito come parroco dal 22 settembre 1927 al 7 gennaio 1967, data della sua morte.

Nel camion traballante che il 6 Ottobre 1925, lo conduce in pianura tra le sue povere cose porta con se il diploma di maestro elementare, la medaglia d’argento e, le migliaia di lettere ricevute da ogni parte d’Italia dai famigliari dei soldati nelle quali si chiedeva la carità di una notizia. Erano lettere di madri, padri, mogli, figli, sorelle, fratelli, preti che scrivevano per le persone analfabete, che volevano conoscere le sorti di soldati.

Parte di questa corrispondenza è raccolta in un libro “Chiedo notizie o di vita o di morte”

Alcuni dati:
Nel maggio 1915, per una legge di Cadorna vennero chiamati alle armi più di 10.000 sacerdoti, inizialmente 700 di loro furono nominati cappellani militari. Nell’intero periodo bellico i cappellani militari furono circa 2070, su un totale di 25.000 ecclesiastici richiamati, spesso ai preti combattenti venivano assegnati incarichi e dati ordini incompatibili con la loro funzione sacerdotale.

Il 30 maggio 1918, esasperato, il Vescovo di Vicenza mons. Ferdinando Ridolfi scriveva al Presidente del Consiglio di Vittorio Emanuele Orlando e al guardasigilli Sacchi una lettera che iniziava così: “Eccellenze nella diocesi ho 700 preti, 500 in cura d’anime e 200 sotto le armi dei quali alcuni sono caduti sul campo, altri sotto le valanghe, altri furono feriti, altri prigionieri, altri ancora decorati, nessuno di loro ha mai mancato al proprio dovere… Eccellenze può dire il Governo, lo stesso dei suoi funzionari…”

La mostra rimarrà aperta fino al 26 giugno

Fotoreportage
Foto 1 – L’immagine particolare che aveva destato curiosità ai visitatori. Don Giovanni e il suo attendente;
foto 2 – Monte Cengio a strapiombo sulla Valdastico. Fra storia e leggenda e mito: “Il salto dei Granatieri” dove gli stessi per non lasciar passare il nemico si aggrappavano a loro trascinandoli nel vuoto.
foto 3 – foglio originale delle disposizioni date ai Granatieri di Sardegna per la difesa del Monte Cengio;
foto 4,6 – lettere inviate a Don Giovanni dove si chiedono notizie di soldati;
foto 5 – una lettera per tutte;
foto 7 – la medaglia d’argento e la motivazione;
foto 8 – Carso Monte San Michele: monumento ai Granatieri;
Foto 9 – Monte Cengio – monumento al Granatiere
Entrambi i monumenti costruiti con residuati bellici d’epoca;
foto 10 – il libro con la raccolta delle lettere e l’opuscolo della mostra:

 
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Commenti (2)


  1. Grande reportage! Abbiamo bisogno di queste testimonianze per riflettere prima di agire!
    Tutta la descrizione ed ogni immagine destano in me grande commozione.
    Grazie, Maurizio


  2. Grazie a te Kris,

    ti capisco, e per non dimenticare ti sono vicino.

    Un caro saluto dal Lago

    M.

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