La carità che premia, il Bartolo Longo 2012
“Esercitate la carità, ma esercitatela con entusiasmo”. Un’esortazione...
Rosy, Ida, Antonello, Chiara, sono alcuni dei loro nomi. Ragazzi semplici che come i loro coetanei studiano, lavorano e si divertono, ma che con la stessa semplicità trovano il tempo e l’entusiasmo di dedicarsi agli altri.
Nell’incontro avuto con loro e con don Giovanni Russo parlano dell’associazione, di iniziative e soprattutto di come siano vicine Pompei e il continente africano.
Come nasce l’associazione?
Sono cinque i fondatori attorno ai quali si sono uniti tantissimi ragazzi desiderosi di tradurre in azioni concrete la loro fede in Dio e l’eredità spirituale lasciataci da Bartolo Longo. Lo stesso nome rimanda al messaggio del beato che credeva nell’amore come principio educativo e nella carità come mezzo per rendere migliore la vita dei minori in difficoltà, generando in questi ultimi il desiderio di riversare sugli altri lo stesso sentimento. Di qui appunto l’idea che la “carità genera carità”.
In tale prospettiva come opera nel contesto locale?
Principalmente cerchiamo di offrire un valido aiuto alle parrocchie, contribuendo spiritualmente e materialmente a sostenere famiglie in difficoltà, prive di un valido sostentamento economico o in alcuni casi vittime degli usurai.
Tutto ciò avviene nel più totale silenzio e lontano dai riflettori, perché come insegna Gesù “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra” (citazione dal Vangelo di Matteo 6,3 ndr).
Come risponde la comunità mariana, in termini di sostegno alle vostre iniziative? C’è diffidenza?
Nel complesso possiamo confermare che il carisma di Bartolo Longo è ben radicato tra i pompeiani e si rinnova attraverso lo spirito del Rosario. Sono tanti i commercianti che ci aiutano, specialmente i ristoranti nel caso della chiesa di Parrelle.
Tuttavia, che si incontri un po’ di diffidenza è normale. Il mondo della solidarietà è spesso terra di conquista di speculatori che ostacolano chi opera realmente per il prossimo. Per un’associazione piccola come la nostra è diverso, perché la gente può toccare con mano come vengono spesi i nostri soldi.
Anche per questo motivo, abbiamo pensato per quest’anno a una simpatica iniziativa: ogni ragazzo dell’associazione avrà una tessera di riconoscimento.
Ma le insidie non finiscono qui.
Nel contempo anche noi che operiamo dobbiamo distinguere tra chi ha realmente bisogno e chi vuole approfittarsi della buona fede degli altri. Di recente ci è capitato di scoprire che una persona fingeva di avere problemi economici e per ottenere soldi ci portava delle bollette da pagare che in realtà non gli appartenevano.
Singoli episodi che nulla tolgono al clima di fiducia che ci circonda, dentro e fuori Pompei. Lo dimostra il fatto che per il 27 marzo avremo il riconoscimento dal Ministero dell’Interno, in quanto associazione impegnata nel volontariato.
Oltre che con le donazioni, organizzate iniziative specifiche per raccogliere fondi?
C’è il “Premio Bartolo Longo alla carità”, di cui il 12 marzo si terrà la 3ª edizione al Teatro “Di Costanzo-Mattiello”, che premia gli artisti e l’associazione che si sono distinti nelle opere sociali.
E “Le Note degli Angeli”, una trasmissione televisiva registrata sul sagrato del Santuario e trasmessa da Rai Uno, in occasione della quale viene promossa una lotteria di beneficenza per raccogliere fondi da destinare a un progetto. Per la prima edizione il ricavato fu devoluto alle Suore domenicane per la costruzione di una scuola nelle Filippine, dove le stesse operano dal 2002.
Capitolo Africa. Qual è l’impegno dell’associazione nel continente nero?
Con la nostra raccolta fondi cerchiamo di sostenere le cure ospedaliere, l’educazione e la crescita dei bambini della missione Bonoua in Costa d’Avorio. Lì siamo stati la scorsa estate.
Eravamo ospitati in un villaggio dove convivono cinque diverse fedi religiose. Durante la settimana tutti si aiutano l’uno con l’altro, senza distinzione. Solo alla domenica ognuno si dedica alla liturgia del proprio credo.
Un grande insegnamento di civiltà.
C’è anche dell’altro. Sul modo di vivere la religione ad esempio, c’è maggiore partecipazione. Una messa dura all’incirca tre ore, un tempo che qui sembra infinito; lì invece trascorre senza che tu ne accorga. Ciò deriva dal fatto che nella loro cultura si è portati a mettere la massima concentrazione in quello che si fa. Come ricorda don Riccardo, un prete missionario che opera in quelle zone da 13 anni, gli africani dicono che noi abbiamo l’orologio, loro hanno il tempo.
I ritmi di vita sono differenti, sono più lenti e c’è più spazio per i rapporti interpersonali, all’opposto di quel che accade nella nostra società. Tengono molto all’ospite e fanno di tutto per farlo sentire a casa propria.
In che modo?
Cucinano per te e si mettono in disparte; soltanto dopo che hai finito di mangiare si mettono a tavola. E’ un modo di accogliere gli ospiti che da non non esiste. Nella vita di tutti i giorni dispensano allegria, sorrisi anche quando lavorano. E poi quanta dignità anche nella sofferenza. Indelebile la fotografia dei volti delle mamme che con in braccio i loro figli, aspettavano all’esterno dell’ospedale sedute per terra, senza emettere nemmeno un lamento o una protesta, soltanto lacrime silenti.
Cosa ha dato, questa esperienza, ai ragazzi dell’associazione?
Don Riccardo ci ha avvertito fin dal primo giorno che noi non eravamo lì per salvare l’Africa, ma l’Africa avrebbe salvato noi. La nostra è un esperienza graduale, non veniamo messi di fronte alla realtà nuda e cruda, ma piano piano prendiamo coscienza dello stato di sofferenza di quelle popolazioni.
Quando torni qui sei preso per diverso tempo dal “mal d’Africa”. Tutto ti sembra insignificante, i piccoli problemi di ogni giorno, le tristezze dei tuoi amici, le litigate con il partner, ed è facile apparire arrogante ed isolarsi dagli altri. Occorrono tre mesi per tornare alla normalità, anche se dentro senti di essere un altro. Senti cambiato il modo di rapportarsi con te stesso e con gli altri, sei più disponibile a farti carico dei problemi altrui e meno propenso a giudicare.
Quand’è che ci tornerete?
L’Africa ti resta dentro, una volta che hai aperto la porta non puoi resistere al desiderio di ritornavi. Al momento però la situazione è un po’ complessa, perché c’è il rischio incombente di una nuova guerra civile. Una cosa che ci addolora, speriamo che l’allarme rientri e si possa continuare a star vicino alla popolazione. Nel frattempo ospitiamo tanti bambini, alcuni bisognosi di particolari cure mediche.
Per sostenere i progetti dell’Associazione “La Carità genera Carità” si può donare il proprio 5 per mille, indicando il codice fiscale 90062810636
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