Giuseppe Crescitelli, uno degli eredi della famiglia Racconto, proprietaria del Metropolitan, parla della fine della favola del cine teatro e del disagio vissuto in questi anni per l’abbandono e il degrado in cui versa la struttura.

La prima domanda è d’obbligo: perché la struttura è ridotta a un simile degrado?
La società di cui è proprietaria il Metropolitan è al 49% della mia famiglia, Crescitelli Racconto, e al 51% dei discendenti di Andrea Racconto, fratello di mia madre Anna. Negli anni abbiamo presentato alcuni progetti di riqualificazione, vista anche la vicinanza con gli scavi di Oplonti, ma non abbiamo incontrato il favore degli investitori dato lo stato di degrado e di abbandono in cui versa la zona.

Come una struttura del genere, intorno alla quale ruotava buona parte dell’economia oplontina, si è potuta ridurre in un simile stato?
Il Metropolitan riflette il declino socio economico della città stessa. Mio nonno Alberto rinnovava l’edificio ogni 5 o 6 anni perché credeva in quello che faceva. Anzi già proprio mio nonno, poco prima della chiusura, aveva cercato di prendere contatti con alcuni imprenditori per trasformarlo in un locale commerciale, una Standa, ma la cosa non andò a buon fine. Noi lo abbiamo ereditato già in piena crisi della cinematografia e inutili e inascoltati sono stati i progetti da noi presentati per la riconversione in un centro polifunzionale.

Chi è stato nella struttura, le cui porte da anni sono murate, racconta di affetti lasciati marcire e mai portati via. Qual è il motivo?
A metà degli anno ’80, poco dopo la chiusura dell’edificio, è stato vandalizzato diverse volte. È stato portato via tutto quello che poteva essere rivenduto, anche i termosifoni per esempio. Psicologicamente ho voluto cancellare tutto, avendo vissuto un disagio profondo per la nostra intimità familiare violata.

Perché dice questo?
La dignità dei miei avi è stata violata in ogni modo: i ladri hanno razziato, saccheggiato, bruciato. Se le mura del teatro potessero parlare, racconterebbero di tutte le offese possibili. Io non ho il coraggio di varcare quella soglia. Preferisco ricordare la casa in cui ho vissuto la mia infanzia attraverso i miei ricordi.

Un pianoforte bruciato, tante foto, libri di narrativa, vestiti e mobilio….tutto abbandonato.
Mia madre Anna adorava quella casa e quello che c’è riflette la poliedricità dei suoi interessi. Lei adorava dipingere e le sue mostre hanno varcato i limiti locali e campani. Nell’ultima parte della sua vita abbandonò quella casa e andò a vivere nella vicina Pompei, ma lasciò il suo cuore in quelle stanze.

Una nobildonna molto conosciuta in città che vanta tra le frequentatrici delle sue mostre la grande Loren?
Mia mamma, classe ’29, studiò al collegio del sacro Cuore di Gesù a Roma. Fin dall’infanzia nutrì una profonda passione per l’arte e negli anni ’60 decise di dedicarsi completamente a questa forma espressiva. A recensire i suoi dipinti ad olio sono stati critici del calibro di Piero Girace, Carlo Barbieri e Salvatore Di Bartolomeo. Ha esposto i suoi quadri in giro per la nazione (Tra le sue mostre personali ricordiamo: Galleria La Barcaccia” di Napoli; Galleria “Michelangelo “ di Firenze; Galleria “Art Club” di Roma; Galleria d’arte “San Marco” di Roma; Palazzo delle Esposizioni di Roma, n.d.r.) e ha vinto anche il “Premio Sulmona”. La Loren partecipò a una sua mostra allestita presso il Circolo della Stampa di Napoli; mia madre me ne parlava spesso.

Quando parla di sua madre le si illuminano gli occhi. Perché ha abbandonato i suoi affetti e li ha lasciati in quel degrado?
Le ripeto, la violazione dell’intimità familiare pesa come un macigno e, ancora oggi, non riesco a mettere piede in quel teatro.

E gli altri proprietari?
Non lo so e i rapporti sono freddi. La mia speranza è davvero che qualche imprenditore decida di sposare qualche progetto di recupero e ridare dignità alla struttura per riportarla ai vecchi splendori.

 
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