Modena - panorama del centro storico

Un welfare equo e innovativo. E’ il cuore della ricetta anticrisi presentata dal Centro culturale Francesco Luigi Ferrari di Modena agli amministratori dell’Emilia-Romagna impegnati a chiudere i bilanci.

In tempi di sforbiciate alle risorse pubbliche e di una maggiore richiesta di servizi e di contributi per fronteggiare vecchie e nuove criticità (disoccupazione, povertà, imprese che chiudono), l’istituto presieduto da Gianpietro Cavazza propone il suo decalogo del nuovo sistema economico-sociale locale che impegna in dieci punti istituzioni e associazioni locali.
Un documento, presentato di recente in una conferenza stampa, che verrà sottoposto a tutti gli amministratori in un incontro fissato per il 25 novembre a Palazzo Europa.

Il decalogo parte dal principio che l’attuale crisi obbliga:

Ia scelte essenziali rispetto ad una concezione allargata del welfare che comprende oltre a sociale e sanità anche istruzione, formazione, lavoro, ambiente.

IIad aggiornare l’attuale sistema informativo territoriale. Risulta difficile attuare reali politiche redistributive se non si hanno le informazioni necessarie per progettarle ed attuarle ma soprattutto se non si decide di cambiare l’attuale struttura della spesa corrente e le scelte di investimento, che appaiono fortemente vincolate da scelte fatte negli anni precedenti e che ora frenano il cambiamento. Lo stesso vale per le politiche di sviluppo che possono risultare maggiormente efficaci se mirate a specifici target.

IIIalla sussidiarietà che sostiene l’assunzione di responsabilità a partire dal basso in una prospettiva di auto-mutuo aiuto e non quella che scarica le inefficienze del pubblico sulle famiglie e all’interno della famiglie soprattutto sulle spalle delle donne. L’approccio basato sulla prossimità consente di valorizzare interventi anche di piccola dimensione che possono risultare particolarmente efficaci nei territori marginali.

IVil volontariato a dipendere economicamente e culturalmente sempre meno dal pubblico e a riscoprire le proprie origini e i propri compiti centrati sulle relazioni di reciprocità.

Vi soggetti profit e no profit che operano con il pubblico a ricercare nuove traiettorie di sviluppo aperte al mercato.

VIad abbandonare il concetto di qualità tecnico-burocratico basato su standard che soffocano l’innovazione e la partecipazione oltre a limitare l’accesso degli utenti verso un’idea più inclusiva basata sulla prossimità al territorio e alle persone e al loro sistema di relazione a partire dalla famiglia.

VIIa fare i conti con i cosiddetti costi della politica che in misura maggiore sono sostenuti dalle scelte amministrative sbagliate o in ritardo e da un assetto organizzativo non ottimale e che non premia le scelte di risparmio pur mantenendo il raggiungimento degli obiettivi.

VIIIa fare i conti con le diseconomie dovute alla frammentazione degli interventi che riflettono altrettanti centri di potere con sovrapposizione di ruoli e competenze. Occorre operare in termini di filiera di produzione dei servizi e conseguentemente occorre prevedere l’aggregazione di comuni, enti organizzazioni troppo piccole per funzionare efficientemente. Occorre poi recuperare e rimettere in economia i patrimoni immobiliari improduttivi, ripensare il processo di pubblicizzazione delle ex-ipab, e soprattutto dare un ruolo attivo alle fondazioni di origine bancaria che non sia di mero sostegno all’esistente ma di agente delle innovazioni sociali e di investimenti che incrementino la sostenibilità del nuovo sistema economico-sociale.

IXil sistema delle imprese, a partire da quelle più dinamiche sui mercati, ad agire secondo una prospettiva di welfare aziendale, sostenuto in questo dai propri lavoratori.

Xa dotarsi di un sistema di valutazione degli interventi e di controllo sui beneficiari rispetto al possesso delle caratteristiche di meritorietà.

(Foto di dmarchi)

 
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