Su una superficie complessiva di 310 mila chilometri quadrati, gli abitanti della nostra penisola si sono distribuiti in 60 milioni (ma non sono tutti nati in Italia) con una densità di popolazione che fa invidia al Bangladesh, appollaiandosi perfino su graziosi paesini in cima ai monti, ad altitudini degne delle alture vertiginose andine, ad oltre duemila metri di quota. In parole povere, se si volesse compiere un viaggio percorrendo tutta la penisola dalle Alpi alla Sicilia, non troveremmo un metro dove non ci sia almeno un essere umano e una casetta, nei posti più impensati.

Ma, come ho accennato sopra, sul suolo italiano non siamo tutti autoctoni e, soprattutto in questi ultimi tempi, il nostro popolo si è scontrato con una realtà che forse anni addietro non aveva mai ipotizzato si sarebbe avverata. In altri termini, da un po’ di tempo gli Italiani si vedono affiancati da uomini e donne dalle caratteristiche somatiche leggermente diverse dalle nostre: colore della pelle differente, tratti del volto diversi. È il risultato di una lenta – almeno all’inizio – ma inesorabile immigrazione di gente proveniente da paesi più scassati e sfortunati del nostro la quale, attratta da un benessere solo apparente che però, chi ha interesse nel fenomeno, cerca in tutti i modi di propagandare e spacciare per vera, entra nel nostro territorio con la speranza di trovare un futuro migliore rispetto a quello che forse nel suo paese non c’è.

Ma anche gli Italiani sono stati emigranti.

I nostri avi del secolo scorso hanno chiuso le loro poche, povere cose dentro valige di cartone e si sono imbarcati su grosse navi che attraversavano l’oceano per portarli in America, terra delle mille opportunità. Alcuni ce l’ hanno fatta, hanno fatto fortuna e sono diventati qualcuno; altri… ce l’ hanno fatta; altri ancora sono tornati indietro con la coda fra le gambe e c’è stato qualcuno che ha deciso di porre fine allo strazio di un fallimento, scegliendo un bel ponte alto da cui buttarsi nell’acqua fredda del fiume che scorreva sotto.

E quando, ora, girando per le strade, c’imbattiamo nei volti diversi dai nostri, dovremmo ricordarci di questo piccolo particolare.

stranieri

Tuttavia, l’Italia non è l’America, sia per estensione di territorio, sia per condizioni economiche che, tra l’altro, in questi ultimi anni, tutto sono fuorché floride, abbattute da una pesante crisi.

Ma allora cosa facciamo? Respingiamo questi poveretti? Li gettiamo in mare come purtroppo fanno alcuni scafisti con pochi scrupoli? No, ma dobbiamo ammettere che la situazione è davvero difficile da amministrare.

L’estate si avvicina, Anzio e Lavinio sono zona di villeggiatura, di turismo e poco più di un mese fa è cominciata a serpeggiare pericolosamente la notizia che una delle strutture alberghiere situate proprio al centro della frazione, a pochi passi dal mare e dal centro commerciale, sarebbe stata requisita per ospitare un centinaio di immigrati, quasi tutti mediorientali, per un periodo di tempo indefinito.

Apriti Cielo!

Nel giro di poche ore, davanti all’albergo si è formato un cospicuo gruppo di persone, costituito prevalentemente da esercenti di attività economiche (ristoranti, negozi, bar, altri alberghi, stabilimenti balneari), inferocite al timore che questi “ospiti” avessero potuto danneggiare con la loro sola presenza la stagione estiva prossima a venire.

protesta davanti all'albergo

Per ristabilire la calma è stato necessario l’intervento delle Forze dell’Ordine e le autorità del Comune di Anzio sono piombate a Lavinio per tentare di sedare gli animi sconvolti.

Razzismo?

Anche.

Ma la reazione di questa gente ha dimostrato come, nonostante la nota generosità degli Italiani, sia ormai arduo, in Italia, dare asilo a chi sbarca sulle nostre coste, inseguito da miseria e motivi sociali.

Sarebbe un po’ come chiamare invitati ad un pranzo dove non c’è da mangiare neppure per chi invita.

Com’è andata a finire?

Gli assessori locali alle politiche sociali e all’ambiente hanno ordinato un’accurata ispezione della struttura alberghiera che avrebbe dovuto ospitare gli immigrati; l’ispezione è stata effettuata dal personale dell’Ufficio di Igiene e da un pool di ingegneri che ha curato l’aspetto edilizio.

Risultato?

L’albergo è stato ufficialmente dichiarato non idoneo ad ospitare chiunque, pertanto, la faccenda si è sgonfiata da sola e tutti hanno tirato un sospiro di sollievo. Devo dire che la vicenda ha lasciato molto amaro in bocca.

Il censimento degli stranieri, regolarmente registrati, conta circa un paio di milioni di unità, ma i clandestini potrebbero essere altrettanti, se non di più, e questi ultimi, senza permesso di soggiorno, spesso senza alloggio e mezzi di sostentamento che non possono procurarsi se non delinquendo, finiscono nelle maglie della malavita, compiendo molti danni a se stessi e a noi del luogo.

Ciò che ferisce è il cinismo della criminalità organizzata la quale recluta e sfrutta questi sfortunati unicamente per ricavarne reddito per le loro tasche, ma non fa meno male il comportamento e certi provvedimenti attuati dalle organizzazioni cosiddette umanitarie che agiscono sovente in modo, in fondo, non molto diverso dalla malavita.

Per poter ottenere il permesso di soggiorno, oltre ad avere un lavoro continuativo e dichiarato, gli stranieri devono – giustamente – dimostrare di aver appreso le più importanti e basilari nozioni della nostra lingua e, a tal proposito. alcune cooperative sociali di un certo calibro economico e rilievo – tra cui una che ha una sede filiale proprio ad Anzio – , organizzano corsi d’italiano per andare incontro a questa esigenza. E qui ci s’imbatte in un altro piccolo imbroglio all’italiana: i corsi non sono impostati nella serietà più assoluta e gli esami da superare non sono molto difficili. E fin qui ci siamo. Dove cala un po’ di nebbia è sulla facilità con cui si promuove anche chi stenta molto a parlare la nostra lingua e non ha imparato gran che della sua – ammettiamolo – difficile struttura grammaticale e sintattica. Perché? Perché se la promozione è facile da ottenere, ciò richiama altri stranieri, non sempre e non tutti comunitari, il cui ingresso innalza le quote espresse in numero e banconote di euro delle sovvenzioni elargite alle organizzazioni umanitarie, per prima la Chiesa.

multietnicità

E, purtroppo, il fenomeno incrementa l’altro non meno spiacevole fenomeno dell’intolleranza verso l’immigrato, colpevole di invadere il nostro Paese, portar via il lavoro agli italiani – i quali non accettano più certi incarichi “bassi”, non solo per capriccio o per principi di dignità, bensì anche per mere questioni finanziarie – e pretendere d’imporre i propri usi e costumi sul nostro suolo, reato attribuito soprattutto a chi professa la religione islamica.

È vero? Apparentemente sì.

Una certa percentuale di musulmani sembra non voler proprio integrarsi nel tessuto sociale italiano, ma non tutti. Gli integralisti italiani sostengono che gli immigrati islamici non sono moderati e non vogliono esserlo per motivi religiosi e culturali ma, per esperienza personale degli ultimi tempi, – insegno italiano all’interno della cooperativa di cui accenno alcune righe sopra – posso testimoniare l’esistenza di una fetta, nemmeno piccola, di musulmani moderati e tranquilli che sono qui in Italia per lavorare seriamente – e lavorano, credetemi! – e apprendere la nostra cultura dalla quale sono affascinati. Un giovane marocchino mi ha rivelato che lui e la sua famiglia festeggiano il Natale con regolarità tutti gli anni, allestendo albero e presepe, alla faccia di chi vuole togliere i simboli religiosi da tutti i luoghi pubblici, in primis, le scuole.

Ricordiamo che i musulmani non riconoscono l’aspetto divino di Gesù Cristo ma ne rispettano il suo ruolo di profeta, figura questa che, nella religione islamica, è di grande importanza.

Dunque, prima di pronunciare sentenze senza possibilità di appello nei confronti degli stranieri che sbarcano in Italia per una lunga serie di ragioni, con riguardo speciale a coloro che abbracciano una fede diversa dalla nostra, rammentando altresì che il dio venerato da loro, Allah, è anche il nostro dio, chiamato con un altro nome, sforziamoci un minimo sindacale di conoscerli meglio.

Poi, potremo emettere giudizi e sentenze.

Gli islamici bombaroli, terroristi e kamikaze? Esistono, per carità. Non lo si può negare. L’ISIS ne è una drammatica prova lampante, ma questi ultimi rivelano l’altra faccia della moneta musulmana e cioè quella del fanatismo religioso, figlio dell’ancora dilagante ignoranza presso la maggior parte della popolazione mediorientale – ma anche di quella che si allarga all’oriente estremo, verso Afghanistan, Pakistan e India – la quale viene ipnotizzata dall’oligarchia dei vari imam, i soli istruiti in mezzo ad un mare di analfabetismo, ma con un’istruzione a senso unico, incanalata esclusivamente nella conoscenza e nell’interpretazione del tutto personale del Corano a scopo di fomentazione delle masse esasperate dalla miseria più nera in cui versano in certi angoli del mondo.

Il guaio dell’islamismo è l’unione, all’apparenza inscindibile, di religione e politica in mano ai suoi capi. Ciò rende, ahinoi, difficile trovare una soluzione a questo problema mondiale.

 
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