Venerdì 14 gennaio ritornano gli eventi di impatto sociale al Nonsolocaffè Longe&Culture bar, con l’esibizione dei Kalifoo Ground Music System, un gruppo raggae-hip hop formato da immigrati africani e italiani nato nel 2008 dopo la strage di camorra di Castel Volturno; le tematiche dei brani vanno dallo sfruttamento lavorativo alla condizione degli immigrati, passando per la politica italiana.

Kalifoo è un termine con il quale gli immigrati vengono etichettati in Libia durante il loro soggiorno di transito verso l’Italia. Significa: “schiavo a giornata”. Kalifoo ground, letteralmente “terreno dove trovare i kalifoo”, è dunque il posto dove la mattina alle 4 gli “schiavi a giornata” vanno a farsi tirare su dai caporali.

Nell’area di Castel Volturno i maggiori kalifoo ground sono a Giugliano in Campania, Licola, Aversa, Villa Literno, San Felice a Cancello, generalmente dove ci sono delle rotonde. E’ un microcosmo sommerso, pieno di posti e parole che mischiano italiano, inglese e dialetti africani, ma che ispira la musica di questi ragazzi che dal loro “kalifoo ground” hanno deciso di lanciare un messaggio attraverso la musica.

Prima del concerto, alle ore 20.30, sarà proiettato il film “Il Sangue Verde” di Andrea Segre, vincitore del premio Cinema Doc alla 67° Mostra del Cinema di Venezia, a cui anche la band stessa ha partecipato.
Seguirà, come di consueto, un dibattito a tema con gli attori del film.

La trama: Rosarno, Calabria, gennaio 2010. Gli immigrati africani scendono in strada per manifestare contro chi, dopo averli sfruttati, li minaccia o addirittura li uccide. Hanno paura. Qualcuno non ha il coraggio nemmeno di manifestare: solo il rumore dei petardi gli riporta alla mente la guerra da cui è fuggito, figuriamoci gli spari veri. Ma il governo italiano dice il contrario, afferma pubblicamente che sono loro a far paura e li costringe alla diaspora.

Andrea Segre, da sempre sensibile all’appello dei migranti va a cercarli per restituire loro la parola. Ecco allora i racconti di chi, arrivato in Italia convinto che fosse il paradiso si è ritrovato all’inferno, a dormire per terra, a rischio di congelamento, dopo aver lavorato 10 o 14 ore a raccogliere arance per un euro a cassetta.

Le persone che il documentario sceglie di seguire, lungi dall’essere marziani dal sangue di diverso colore, sono uomini istruiti, passati dalla padella alla brace, schiavi che sanno di esserlo, ridotti così dalla crisi dei più ricchi, che non sono nemmeno liberi di tornare a casa, perché non possono certo farlo a mani vuote. Il messaggio è immediato: sembra roba d’altri tempi e di un altro mondo, invece è “cosa nostra” (la ‘Ndrangheta impera), qui e ora…

Durante tutta la manifestazione e nella settimana a seguire sarà visibile una mostra tematica con pannelli raffiguranti volti di immigrati africani.

 
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