Carissimi fedeli,
cittadini di Torre Annunziata, confratelli in Cristo, a motivo di un articolo apparso circa riflessioni e giudizi personali espressi dal sig. Michele Del Gaudio – ex Magistrato –  in merito alle dichiarazioni del Cardinale Sepe sull’opportunità o meno di portare in chiesa dopo la morte chi si è sporcato di delitti mafiosi, come persona citata dal medesimo articolo sento il bisogno di comunicare il mio animo come risposta a questo articolo non per me, povero prete, ma per l’intera comunità ecclesiale, di cui umilmente ne ho la cura, per conoscere e far conoscere i fenomeni essenziali della questione nella ricerca di ciò che può meglio rispondere ad una autentica crescita civile della nostra città ed a una più efficace e concreta testimonianza evangelica da parte della mia stessa chiesa.

Carissimi, il tempo della storia, dell’uomo e del cristiano deve ed è il tempo del Risorto.

La memoria di Cristo Risorto dice apertura al mondo, trionfo della vita sulla morte, della concordia e dell’amore sulla vendetta e sull’odio.

Per questo i giorni della Pasqua sono i giorni dell’invito alla pace dei cuori, senza la quale non sarà mai possibile costruire la pace sociale.

Vivendo le cerimonie pasquali abbiamo tutti sentito quante volte si esalta il trionfo della vita sulla morte, anzi della vita che non deve conoscere più la morte.

Un trionfo che richiede un duello durissimo che ogni cristiano deve quotidianamente affrontare,il duello tra il peccato e la grazia, tra la debolezza insondabile se lasciata a se stessa e la forza che viene dalla fede in Cristo Risorto.

La prova del vero amore verso Cristo e verso i fratelli, soprattutto verso i più diseredati, è data dalle opere cioè dai frutti che produce, ma per proclamare questi frutti l’amore vero ha bisogno di essere alimentato da Cristo stesso per dare la propria vita.

Pensare di portare frutti senza rimanere in stretto legame con Gesù è pura illusione anche quando sentiamo nelle piazze e dai pulpiti proclami di giustizia e di pace.

Ha scritto l’Abbè Pierre: “ Quando arriveremo alla meta, non ci domanderanno sei stato credente? Ma “ Sei stato credibile?” “La tua maniera di vivere ha reso credibile a tutti gli uomini che Dio ti ama?”

Se prendiamo la bussola del Vangelo e l’insegnamento di Cristo allora dobbiamo dirci alcune verità.

La pace sociale se è vero che non si risolve nella resa alle prepotenze, alla rassegnazione, alle sopraffazioni, alla perdita della libertà è altrettanto vero che la pace sociale e di cuori comporta e non tollera la mortificazione dei suoi fondamentali diritti ( lavoro, istruzione, assistenzialismo, evangelizzazione e promozione umana) ed onora in tutti gli esseri umani la dignità inalienabile della persona.

L’esperienza pastorale da me vissuta in questi anni, in questo degradato quartiere dell’Annunziata, mi ha portato a spendere tutte le mie energie fisiche, materiali, spirituali, come pure le mie umili ed innate capacità organizzative, per il riscatto morale e materiale di questi poveri uomini e donne abbandonati per tanti anni dalle stesse istituzioni ( sociali, politiche e religiose ) lasciando così un terreno fertile per il germogliare ed il crescere della malavita.

Ho trovato però, nella maggioranza dei miei fedeli, anche un grande bisogno di ritrovare se stessi e di rielaborare le proprie esperienze di vita.

Ho incontrato ogni giorno anche grandi difficoltà ambientali minacciando tante volte di voler chiudere la Basilica al Culto ma a questo povero prete gli è venuto sempre un grande aiuto dalla forza e coraggio della propria fede, dai fedeli, supportato sempre anche dalle presenti forze militari, politiche e istituzionali alle quali va il mio grazie.

Ma si pensi anche alla sofferenza del prete, quando lasciato solo sa di non essere sempre compreso nel proprio linguaggio, nel proprio stile di vita, quando si vive il proprio ruolo in modo essenziale, a testimoniare e a comunicare la radicalità della propria vita nello spirito di Gesù Cristo e ad edificare la comunità dei credenti in una condivisione di responsabilità.

Punto di partenza per ogni attività pastorale e sociale non devono essere solo i proclami delle lotte contro il maligno, ma deve esserci anche l’attenzione, il rispetto, l’accoglienza della persona, la considerazione della sua dignità in quanto creata da Dio.

Ogni iniziativa pastorale deve essere primariamente finalizzata alla promozione umana.

Come si fa a parlare di conversione del cuore, soprattutto ai giovani non ancora contaminati dalla violenza, anche se figli di camorristi, se poi vengono relegati ai margini della società?

Come si fa a parlare di legalità a chi vive di espedienti per non morire di fame?

Davanti all’enormità di tali urgenze, mi sembra riduttivo ( anche da parte della Chiesa) fare solo proclami, anzi le nostre forze per sconfiggere il male e far vincere il bene risultano impari.

Allora come debole prete mi viene da dire a voi presbiteri – confratelli in Cristo, laici come l’etiope a Filippo: “ Sali con me sul carro ed aiutami a capire ( cf. At 8,29-34).

Per questo motivo vorrei invitare a vivere ed a condividere la mia esperienza pastorale anche per un sol giorno qui all’Annunziata alcuni ed in particolare chi lede la mia persona con artificiose e non fondate dichiarazioni, per capire se c’è complicità camorristica, perché ci sono dei momenti nella propria vita in cui bisogna trovare la parresìa ossia la franchezza e il coraggio di capire che Gesù richiede di superare con un balzo la dimensione della propria piccolezza umana e vedere nel fratello, anche il più cattivo, Lui stesso che vuole essere amato.

L’amore dei nemici, il fare del bene a chi ci fa del male, tendere la mano amica a chi impugna contro di noi l’arma omicida è un complesso di doveri che può veramente spaventare la nostra piccolezza, ma non può essere ridotto per comodo a un modo di dire poetico, a retorica anche da parte della Chiesa.

Qui non siamo nel campo dell’utopia.

È bensì la rude prospettiva, difficile, eroica, di quella “nuova giustizia” superiore a quella degli scribi e dei farisei ( cf. Mt 5,20 ) senza della quale non si entra nel Regno.

Non facciamo difficoltà ad immaginare che questo discorso può suscitare molti interrogativi, questo ad esempio: “Ma allora, secondo il Vangelo, i violenti, i feroci assassini di innocenti, i seminatori di morte, dovranno restare impuniti? Si dovrà rinunciare alla giustizia, per fare spazio a questo generale perdono? Interrogativi preminenti.

Anche S. Giovanni Crisostomo si poneva tale domanda e rispondeva: “ Per la gloria di Dio è anche lecito punire” ma ciò che il Vangelo condanna è la vendetta immediata, è la rivalsa personale e privata, è l’odio radicale che devasta il cuore e non elimina il male, è cioè l’inizio di quella catena di male e di morte che è inesorabilmente destinata a continuare finché non le si sbarra il passo con un atto eroico di perdono.

Mi sento di condividere quanto detto da Ghandi “ La distruzione non è la legge degli uomini”.

L’uomo vive liberamente in quanto è pronto a morire se necessario per mano di suo fratello, ma mai ad ucciderlo.

A chi è capace di incamminarsi sulla strada di questa stupenda avventura evangelica dell’amore senza limiti, dirò di non prendere a misura della grandezza dell’ideale cristiano la sua piccolezza di uomo, ma la grandezza del cuore di Dio che ci assicura il Suo aiuto per capire che tutti gli uomini, anche i più cattivi, sono figli dello stesso Padre, amati da Dio, oggetto della Sua misericordia.

Certo, diceva S. Giovanni Crisostomo: “ Se vedi che tuo fratello ( che tu puoi chiamare anche camorrista) è pieno di nequizia, è empio, impuro, violento, distaccati da lui, bisogna, continua S.Giovanni Crisostomo, fare in modo che i malvagi non nuocciano”.

Questo si, e come!

È questo il dovere della giustizia umana dinanzi ai delinquenti!

Questo è compito dello Stato, delle Autorità costituite preposte appunto al bene comune.

Ma è questa stessa considerazione che dovrebbe fare preferire sempre all’estinzione del colpevole, una pena che sia correttiva, che mentre evita il pericolo di altro danno per la società, d’altra parte abbia cura anche al recupero umano, sociale e morale del colpevole.

Allora  solo così si capirà che Gesù non esige che tu chiami buono il malvagio e bene il male, ma ti chiede di superare appunto con un balzo la tua piccolezza di uomo e vedere nel fratello, anche il più piccolo, anche il più cattivo, Lui stesso che vuole essere amato e perdonato da te con amore gratuito.

Questo modo di pensare e di agire di conseguenza è più efficace di chi enuncia lo slogan dicendo:

“La camorra fa schifo” e non opera di conseguenza pagando di persona.

Nell’unità ai Nostri Pastori nell’idea che “ La vita criminale non è compatibile con la fede in Dio Padre”, a imitazione di Cristo crocifisso e abbandonato, il quale diede perdono al buon ladrone, anch’ io, umilmente, perdono chi ha leso la dignità dell’uomo e del Sacerdote.

 
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Commenti (1)


  1. Aggiornamento: Solidarietà a Monsignore Russo è stata espressa dal primo cittadino di Torre Annunziata, Giosuè Starita, che ha ritenuto opportuno far pervenire al rettore della Basilica dell’AGP una lettera di sostegno.

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