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La gestione commissariale di Pompei nel discorso tenuto dai giudici della Corte dei Conti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. E’ stato il presidente dei giudici contabili Luigi Giampaolino a toccare l’argomento, nel passaggio sui “grandi eventi” affidati alla Protezione civile.
“Secondo la Corte – ha dichiarato Luigi Giampaolinonella competenza del Dipartimento della protezione civile non rientra qualsiasi ’grande evento’, ma vi rientrano solo quegli eventi che, pur se diversi da calamità naturali e catastrofi, determinano situazioni di grave rischio per l’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni”.

Palese il riferimento ai lavori eseguiti nell’area archeologica sotto la gestione dei commissari, le cui spese amministrative sono finite nel mirino della Corte dei Conti per accertare il corretto utilizzo dei fondi di gestione dell’ente scavi. Negli uffici della Soprintendenza, tra gennaio e febbraio, si è aggirata un’ispettrice incaricata dall’organo di controllo dei conti pubblici, di spulciare tutti i provvedimenti adottati dal commissariato.

Nel frattempo le inefficienze e le anomalie nella gestione di Pompei e del patrimonio culturale salgono alla ribalta mediatica attraverso iniziative editoriali e dossier. Sta scalando le classifiche “Vandali. Assalto alle bellezze d’Italia” (Rizzoli editore, 2011), l’ultima fatica di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo.
I due giornalisti del Corriere della Sera parlano di “mentalità da terzo mondo” nel modo di gestire il patrimonio artistico e culturale. E Pompei è solo uno degli esempi più eclatanti di risorsa non sfruttata, come dimostra la stima della banca internazionale Merrill Lynch, citata nel libro, secondo cui il “«fenomeno Pompei» è sfruttato appena per il 5 per cento delle opportunità turistiche”.

Il paragone con le grandi realtà museali del pianeta è improponibile. Per quanto concerne i ricavi dei biglietti, il fatturato annuale di tutti i musei e siti archeologici italiani messi assieme supera di poco l’incasso delle sole gallerie Tate Britain. Un dato reso ancor più imbarazzante se si tiene conto che “una gran parte dei biglietti staccati in Italia sono omaggio: 6 su dieci a Pompei, 4 su 5 all’Anfiteatro di Capua”.

Sul versante dell’indotto non siamo messi meglio.
“Il merchandising ha reso nel 2009 al Metropolitan Museum quasi 43 milioni di euro – rivelano gli autori -, ben oltre gli incassi analoghi di tutti i musei e i siti archeologici della penisola, fermi a 39,7. Ristorante, parcheggio e auditorium dello stesso museo newyorkese hanno prodotto ricavi per 19,7 milioni di euro, tre in più di tutte le entrate di Pompei, il nostro gioiello archeologico. Dove i «servizi aggiuntivi» sono stati pari a 46 centesimi per visitatore: un ottavo che agli Uffizi, un quindicesimo che alla Tate, un ventisettesimo che al Metropolitan, un quarantesimo che al MoMa, il Museum of Modern Art”.

Poi viene affrontata la questione del personale ridotto e di regole strambe che ostacolano la possibilità di intervento dei tecnici. Un passaggio significativo recita: “L’ultimo mosaicista è andato in pensione dieci anni fa, c’è un solo archeologo per 66 ettari di scavi, un accordo sindacale vieta agli elettricisti di salire su scale più alte di 70 cm”.
Che la situazione sia involuta è assodato, ma lo sconforto nasce nel constatare che si stava meglio cinquant’anni fa: nel 1956, ricordano gli autori, le strutture visitabili di questo straordinario sito erano 64 e, al 10 dicembre 2010, data del controllo effettuato da Stella e Rizzo, appena cinque.

 
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