In occasione delle commemorazioni dei partigiani caduti l’11 giugno del 1944 a Carmignano durante un’azione di sabotaggio contro i tedeschi, è stato possibile visitare l’ex polveriera Nobel, una città nascosta, conosciuta come la Nobel di Carmignano, anche se in realtà è ubicata quasi tutta nel comune di Signa.

In Italia nei primi anni del ‘900 esisteva già un’importante fabbrica di dinamite dellaSocietà Alfred Nobel, situata vicino al confine francese, e con i macchinari un po’ obsoleti, non dava più quelle garanzie di sicurezza necessarie. Fu deciso allora di costruirne un’altra in una zona più strategica nell’Italia Centrale. Fu individuata nella zona di Carmignano la collocazione più ideale in quanto questa avrebbe garantito un facile accesso alla ferrovia per il collegamento al porto di Livorno, una grande quantità di risorse idriche vista la confluenza del fiume Ombrone nel fiume Arno, la vicinanza delle cave di pirite della Val di Cecina e non per ultimo un ampio altopiano collinare coperto da vegetazione che avrebbe garantito protezione contro le nascenti aviazioni militari. La fabbrica fu edificata nel 1913 e l’attività aveva caratteristiche esclusivamente belliche producendo balistite e dinamite usate per le munizioni di cannoni di grosso calibro.

Dopo la Grande Guerra e con il diminuire delle commesse, la proprietà ne decise la vendita e nel 1925 fu acquistata dalla Società Montecatini la quale continuò la produzione, se pur modesta, di esplosivi cercando poi di riconvertirla ad usi civili con la sperimentazione di fertilizzanti chimici. Con l’avvicinarsi dei nuovi venti di guerra, a partire dal 1935 la fabbrica riprese una forte importanza militare. Iniziarono ingenti opere di ammodernamento, come la costruzione di nuovi padiglioni e nuovi impianti; furono scavate diverse gallerie, costruite teleferiche, e una linea ferroviaria interna che collegava i vari padiglioni fra loro e poi arrivava a valle, fino alla ferrovia principale. Il complesso si estendeva per quasi 90 ettari, coperto da bosco, sotto al quale si sviluppavano numerosissimi edifici, gallerie, strade ferrate, viali e piazze perfettamente invisibili dall’alto, vi lavoravano più di 3500 persone con punte anche di 5000. In quel periodo la Nobel assunse un ruolo strategico e militare molto importante.

Dopo l’8 settembre del 1943 ed il conseguente sbandamento dell’esercito italiano, lo stabilimento venne requisito dai tedeschi che lo sfruttarono al massimo per la produzione di esplosivi a base di nitroglicerina. Da quel momento iniziarono varie azioni di sabotaggio da parte dei nuclei partigiani che agivano in zona. L’11 giugno del 1944 si ebbe il sabotaggio più clamoroso che interruppe la produzione della Nobel. Otto vagoni ferroviari carichi di tritolo (circa 1600 quintali), fermi su un binario morto della stazione di Carmignano, furono fatti esplodere durante un’azione ad opera di partigiani. La squadra era composta da 8 uomini guidati da Bogardo Buricchi con lui il fratello Alighiero, Bruno Spinelli, Ariodante Naldi, Lido Sarti, Mario Banci, Enzo Faraoni, e Ruffo Del Guerra. L’esplosione fu violentissima e provocò un’enorme cratere, scoperchiò i tetti delle case vicine, erose parte della collina sovrastante fino a danneggiare le strutture della Nobel. La detonazione fu sentita fino a Prato e Firenze. Purtroppo dallo scoppio non controllato, restarono uccisi 4 partigiani, Bogardo Buricchi, Ariodante Naldi, Alighiero Buricchi e Bruno Spinelli, oggi ricordati con un cippo alla memoria collocato nei pressi di Poggio alla Malva.

Dopo la fine della guerra la proprietà cercò di riconvertire la fabbrica a produzione di pesticidi e fitofarmaci agricoli ma senza grossi successi. Nel 1958 lo stabilimento chiuse definitivamente e nel 1964 fu effettuata la bonifica dei prodotti chimici ed esplodenti. Oggi, dopo 50 anni di abbandono, le strutture murarie appaiono ancora in buono stato, grazie agli ottimi materiali usati ed alle particolari tecniche di costruzione applicate. Sono invece quasi del tutto mancanti i tetti degli stabilimenti, che all’epoca furono costruiti in legno per motivi di sicurezza, infatti in caso di esplosione dovevano servire come valvola di sfogo ed arrecare il minor danno possibile alle strutture murarie ed ai macchinari situati all’interno. Visibili sotto una vegetazione che quasi li soffoca, le strade interne che univano i vari settori dello stabilimento. Nel corso degli anni si sono susseguite varie proposte di riqualificazione per cercare di recuperare questo enorme patrimonio storico, ma fino ad oggi nessun progetto è stato attuato, sia per l’enorme estensione del lotto, sia anche per gli ingenti investimenti che si renderebbero necessari.

Le foto di questo reportage:
Foto 1 – uffici direzionali;
Foto 2 – viali di comunicazione;
Foto 3 – vista esterna di alcune strutture;
Foto 4 – rotaie della ferrovia interna;
Foto 5 – capannone per le lavorazioni;
Foto 6 – strade di comunicazione;
Foto 7 – figuranti in divise tedesche alla portineria di accesso;
Foto 8 – uno dei tanti tunnel;
Foto 9 – zona adibita alla pesa dei vagoni;
Foto 10 – interno di una palazzina.

 
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