A sentir parlare di piramidi in Sardegna si rimane un po’ basiti. Ancor più quando ci si ritrova davanti e sopra ad essa.

In realtà, la struttura del complesso prenuragico di Monte d’Accoddi, a Sassari, è tronco piramidale, una sorta di piano rialzato che in sommità presentava una costruzione di fattura sacra. Parliamo di un altare votivo, secondo alcuni, o di un tempio, secondo altri, atto a consacrare una determinata divinità o un rito legato ad una o più divinità.

Ma come si è arrivati alla sua scoperta? Per caso o per fortuna, come molte importanti scoperte!

Indicata da varie mappe col nome di “Monte La Coda” o “Monte De Code” per la sua strana forma (una collinetta di terra e pietre con una appendice somigliante ad una coda), questa collinetta fu utilizzata durante la Seconda guerra mondiale come postazione per la contraerea che, in parte, a causa dei lavori di trincea, contribuì a danneggiare quello che oggi sappiamo essere il tempio o altare a gradoni più antico del mediterraneo.

Fu Antonio Segni (ministro e futuro Presidente della Repubblica) nel 1950 a indicare il luogo che secondo lui nascondeva un edificio etrusco o qualcosa di simile e riuscì a far convertire parte dei finanziamenti destinati agli scavi archeologici in Sardegna in quel luogo.
Fu sempre lui ad indicare il sardo Ercole Contu, giovane archeologo in servizio presso la Soprintendenza di Bologna, come il “destinato” autore della scoperta più importante della storia sarda.

Segni, infatti, conosceva benissimo quei luoghi perché adiacenti ai terreni di famiglia e perché sin da giovane amava girovagare nei pressi e sulla collina e, spesso anche per battute di caccia. Fu da sempre incuriosito dalla strana forma di quella collina e dal fatto che nascondeva dentro di sé troppe pietre per essere normale.
Infatti era una collina artificiale e, oggi, sappiamo che fu occultata appositamente da coloro che intendevano nasconderla per sempre agli occhi della gente.

Quando nel 1952 Ercole Contu iniziò gli scavi (malvolentieri perché riteneva fosse uno dei centinaia di nuraghe presenti nella Nurra), l’idea era quella di cercare per prima cosa l’ingresso a quelle che a prima vista sembravano mura.
Nel cercare l’ingresso o i resti della camera a Tholos (la sala interna a sesto acuto dei nuraghe) si accorse che prima di tutto le mura non erano tondeggianti ma dritte e leggermente inclinate e, inoltre, non esisteva un ingresso. Da questi primi dati si rese conto che quel tumulo di terra e pietre non era un nuraghe ma qualcosa di nettamente diverso.

Quando, terminati i primi scavi di rilevamento, ci si trovò dinnanzi ad una struttura a base rettangolare e tronco piramidale, ci si rese ulteriormente conto che quella era una di quelle scoperte che ad un archeologo capitano una sola volta nella vita, e come tale andava trattata.
Gli scavi proseguirono sino al 1959 e là terminarono per mancanza di fondi e attrezzature adeguate, ma con importanti scoperte.

La struttura era a base rettangolare, sopraelevata di 6-7 metri dal suolo, con le pareti di contenimento inclinate e sul lato lungo, esposto a Sud, una rampa di 41,50 metri che raccordava il piano di campagna con la sommità del tumulo. Un edificio sorprendente e ancor più sorprendente fu la sua datazione: 2700 a.c. circa. Praticamente agli inizi dell’era megalitica e prima dell’età nuragica (almeno secondo le datazioni “ufficiali”).

Questo significava che non solo la costruzione piramidale era la più antica (e al momento l’unica) sinora trovata in Sardegna, ma è anche l’unica in Europa e nell’intero bacino mediterraneo. Non solo. Considerando la datazione della più antica piramide a gradoni egiziana, la piramide di Zoser (o Gioser) costruita intorno al 2630 a.c. circa, la piramide sarda risulta essere anche la più antica in assoluto dell’intera area mediterranea.

Proprio per questo motivo Ercole Contu credette di essere dinnanzi ad una sorta di mastaba (tomba monumentale a gradone) egizia e, proprio con l’intento di trovare la camera sepolcrale, iniziò gli scavi dalla sommità centrale del tumulo. La fortuna non lo aiutò.
Finiti i fondi e in situazione di scarsa sicurezza per mancanza di attrezzature idonee interruppe gli scavi che in ogni caso sembrava non portassero a nulla: da quegli scavi continuavano a venir fuori solo pietre e terra.

Diversa fu la fortuna attorno al tumulo. Durante gli scavi per individuare il perimetro della costruzione e gli eventuali annessi, furono ritrovate numerose reliquie sacre: un Menhir di calcare squadrato e alto 4,7 metri, una lastra grande che presentava fori e passanti di aggancio, una lastra piccola, una pietra sferoidale di quarzite e una stele votiva raffigurante una donna, inoltre un grossa pietra ellissoidale tronca.

Tutti, tranne la grossa pietra si trovano nella posizione in cui sono stati ritrovati. La pietra ellissoidale infatti è stata ritrovata da un contadino che la urtata, rotta e disseppellita con l’aratro nel proprio campo adiacente al sito, per cui la posizione oggi occupata da tale pietra è del tutto arbitraria e priva di fondamento; anche la parte in vista potrebbe non essere quella corretta.

Dopo Contu, dal 1979 iniziarono nuovi scavi ad opera di Santo Tinè, che decise di riprendere gli scavi interrotti dallo stesso Contu alla ricerca di una camera sepolcrale. Tinè ebbe decisamente più fortuna. Proseguendo gli scavi arrivò a scoprire qualcosa di sorprendente. La costruzione su cui stavano era stata costruita sopra, quindi inglobandola, una precedente costruzione.

Continuando nell’opera di scavo per capire di cosa si trattasse, si venne a scoprire un edificio di simili fatture ma di, naturalmente, ridotte dimensioni. Questa nuova costruzione presentava alcune particolarità. Era interamente intonacata e dipinta di ocra rossa, era la copia ridotta dell’edificio che la “ospitava”, presentava sulla sommità una terrazza al cui centro si ergevano dei muretti bassi con un ingresso e fori di palificazione che avevano indubbiamente la funzione di sorreggere una copertura lignea. Era una sorta di altare/tempio ancora più antico ma di ottima fattura e risalente al 2900 a.c. circa e quindi, così da togliere ogni altro dubbio, la più antica costruzione tronco-piramidale mai scoperta sino ad oggi.

C’è da dire che Tinè, da orientalista convinto, condusse gli scavi credendo fermamente che tale costruzione altro non fosse che una Ziqqurat mesopotamica costruita da chissà chi e chissa perché proveniente dall’antica babilonia. Perciò condusse l’opera di restauro seguendo la sua filosofia orientaleggiante, oggi fermamente contestata da molti e dallo stesso Contu (da sempre) e che forse, proprio a causa di questo libero arbitrio, potrebbe essere cancellata dagli elenchi dei monumenti dichiarati patrimonio dell’umanità, cioè da quegli elenchi dell’UNESCO di cui oggi fa parte. Noi speriamo di no, poiché riteniamo che una ricostruzione, per giunta parziale, errata non toglie nulla all’importanza del ritrovamento e che anzi deve a maggior ragione il sito debba essere protetto e studiato fino in fondo.

Del sito si sanno tante altre cose importanti. Innanzitutto sorge all’interno di una zona ricca di necropoli neolitiche, le “Domus de Janas”, le “Case delle Fate” o delle “Sacerdotesse”, poi si erge in prossimità di un fiume e forse sopra una falda acquifera. Il Menhir, la stele femminile e le lastre erano presenti già da molto prima che venisse edificata la costruzione più antica, segno che la zona era ritenuta sacra da molto tempo prima; tutt’attorno all’edificio si estende un villaggio di cui alcune abitazioni risultano più antiche e contemporanee del Menhir. Si sa anche cosa mangiavano e come. Quali suppellettili finemente cesellate o dipinte utilizzavano e come. Addirittura sono stati ritrovati dei tripodi, su cui poggiare il vasellame per la cottura dei cibi, ancora su resti di focolai.

Tra le tante capanne ne è stata trovata una di particolare importanza denominata “La casa dello stregone”. Questa presentava al suo interno arnesi, suppellettili e figurine sacre tipiche nell’uso della ritualità sacra e magica.

In ogni caso rimane il fatto di una scoperta strabiliante che non ha eguali, e non solo nel nostro territorio. Rimane il fatto che, come per tutti i siti archeologici, vale la pena spendere un po’ del nostro tempo per far visita ai luoghi dei nostri antenati, cercare di sentire le loro voci e capirne i pensieri, sentire l’odore del peso dei millenni che ci hanno visto nascere ed evolvere e non importa con quale sentimento teorico, religioso, filosofico si va, l’importante è andarci con la sola presunzione di rubare un attimo di storia e farla nostra per sempre.

 
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Commenti (2)


  1. bravo!!! come “entrare” nel sito….. ben strutturato e scorrevole…..


  2. Grazie kettyfa…è un bel complimento!

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