L’abbazia di Goleto sorge in Irpinia in un piccolo borgo nel Comune di Sant’Angelo dei Lombardi (AV) sull’alta valle del fiume Ofanto e prende il nome da “goglia” un’erba palustre tipica del luogo.

Si deve la sua fondazione a San Guglielmo da Vercelli, ivi nato nel 1805, che durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, attraversando l’Irpinia, fu conquistato dalla serenità del luogo, vi restò da eremita vivendo nella cavità d’un albero e diede vita nel 1114 alla prima comunità maschile a Montevergine e nel 1133 alla comunità femminile al Goleto.
Il Santo si spense nello stesso luogo il 24 luglio del 1142. Nel 1942 fu proclamato Patrono dell’Irpinia dal Papa Pio XII.

L’abbazia è ritenuta uno dei più imponenti esempi di architettura gotica nel Mezzogiorno.
Al centro del complesso monastico si erge la chiesa formata da due cappelle sovrapposte che segnano il passaggio tra l’arte romanica (chiesa inferiore o cappella funeraria del 1200) e l’arte gotica (chiesa superiore o cappella di San Luca del 1255)
Accanto all’abside sorge il monastero grande delle monache; il piccolo monastero dei monaci, invece, sorge di fronte alle chiese.

Le monache vivevano in assoluta clausura sotto la guida delle badesse Febronia, Marina I e II, Agnese e Scolastica. I monaci erano addetti alla guida spirituale ed all’assistenza economica della comunità.

Nel 1152 l’abbadessa Febronia fece erigere una torre, che porta il suo nome, per il controllo e la difesa del monastero. Vi si trovano inseriti dei blocchi, con bassorilievi, provenienti dal Mausoleo romano dedicato al centurione Marco Paccio Marcello.

Col tempo il monastero si arricchì di varie proprietà ed opere d’arte. Purtroppo l’epidemia della peste nera, dal 1348 in poi, dette inizio ad una precipitosa decadenza fino alla soppressione totale del gruppo monastico, avvenuta sotto il papato di Giulio II dopo la morte dell’ultima badessa, nel 1515.
Il monastero fu, allora, unito a quello di Montevergine che provvide a trasferirvi alcuni monaci.

Sotto il papato di Sisto V, tra il ’600 ed il ‘700, fu iniziato il restauro del vecchio monastero e fu inoltre eretta una grande chiesa che prende il nome dall’architetto napoletano Domenico Antonio Vaccaro che la edificò tra il 1735 ed il 1745. La chiesa grande o del Vaccaro, con pianta a croce greca, in origine era completata da una cupola centrale.

Numerosi terremoti hanno interessato il territorio irpino altamente sismico negli anni 1694, 1732, 1733, 1794, 1853 fino al terribile terremoto del 23 novembre 1980, per cui l’abbazia ha subito danni a ripetizione ed è stata, poi, spogliata delle opere ed oggetti preziosi da parte di altri enti e da sciacalli umani.

Oggi, grazie all’intervento del Ministero dei Beni Culturali, all’impegno della Sovrintendenza alle Belle Arti di Avellino e Salerno, alla progettazione dell’architetto Carmine Gambardella, l’abbazia è di nuovo aperta al pubblico che può ammirare i tesori artistici superstiti, vanto di questo gioiello non solo dell’Irpinia ma dell’Italia intera.

Foto
1 – resti della chiesa del Vaccaro e chiesa antica formata da due cappelle sovrapposte
2 – ingresso al complesso monastico
3 – resti della navata unica della chiesa del Vaccaro
4 – sarcofago policromo nella cappella funeraria che ha accolto le spoglie di San Guglielmo tra il ’6-700
5 – altare della cappella di San Luca
6 – soffitto della cappella di San Luca; capitelli a “crochet” secondo l’architettura pugliese amata da Federico II di Svevia
7 – un particolare dell’abside
8 – torre Febronia
9 – blocchi con bassorilievi inseriti nella torre Febronia
10 – il casale dei contadini; ogni abitazione aveva il suo orto

 
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Commenti (7)


  1. la ristrutturazione di quello che si è potuto salvare è stata notevole, belle le foto e ottimo reportage


  2. Spiegazioni esaurienti, belle foto. Ottiene lo scopo di far sorgere in chi lo legge il desiderio di visitare il luogo.
    Complimenti.


  3. Grazie a tutte!


  4. bel reportage – interessante e belkle foto. complimenti – votato


  5. grazie, Diana!

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