Alle quattro del pomeriggio della prima domenica di settembre un tiepido sole si riaffaccia fra le nuvole e l’aria è satura del profumo di elicriso, timo, menta e fieno bagnato alla periferia del minuscolo Villaggio di San Salvatore. E’ un déjà vu sugli schermi dei film western degli anni 70.

Siamo a sette chilometri dal comune di Cabras, in provincia di Oristano, nella fantastica penisola del Sinis, circondati da stagni pescosi, famose spiagge del riso, i resti di Tarros, bella e scenografica città fenicio-punica, la chiesa paleocristiana di San Giovanni e, al centro della piazza del Villaggio, un santuario sotterraneo dove un tempo si praticava il culto dell’acqua.

E’ proprio in questo santuario, dove ora sorge una piccola chiesetta al centro del Villaggio, che gli abitanti di Cabras portarono di corsa la piccola statua del Cristo Salvatore per sottrarla al saccheggio dei mori. Si tramanda che il nuvolone di polvere creato dalla corsa de is crabarissas (pare siano state le donne di Cabras perché gli uomini erano lontani dal paese a difendere le coste) fece credere ai Saraceni si trattasse di un esercito numeroso inducendoli a rinunciare all’incursione.

In ricordo di quel 1506 ogni anno si rinnova il rito della Corsa degli Scalzi. All’alba del primo sabato di settembre, dopo la celebrazione della Santa Messa nella Chiesa di Santa Maria Assunta a Cabras dove si conserva il simulacro in legno di Santu Srabadori (San Salvatore), un migliaio di curridoris (corridori) vestiti di bianco, a piedi nudi e di corsa portano il Santo alla chiesetta del Villaggio e la domenica, poco prima del tramonto la riportano al paese dove sarà custodito per un anno intero.

Attorno alla chiesetta del Villaggio is domigheddas (casette) di pietra basaltica e arenaria, che in passato erano luoghi di sosta durante gli spostamenti di pastori e contadini, per la Festa del Santo si popolano e danno accoglienza ai pellegrini e vernaccia ai passanti.

Manca poco più di un’ora alla corsa del rientro a Cabras e al Villaggio giungono a centinaia is curridoris, tutti con un sacchetto di stoffa dove è conservato il sacro saio che vestiranno all’ultimo momento (foto 1); saluti e strette di mano alla gente del Villaggio che li accolgono festosi con l’invito “Currei in nomine ‘e Deus” (correte nel nome del Signore), lo stesso che la folla grida alla partenza della corsa (foto2). Misto al parlottio della piazza si odono, provenienti dalla chiesa, le preghiere e i canti della celebrazione.

Ad ogni angolo vi è uno svolazzare di sai bianchi che vengono vestiti e stretti in vita con cordone anch’esso bianco (foto3). Lo stendardo che precederà la corsa è appena uscito dalla chiesa da dove ancora vengono i canti; varca la porta il piccolo simulacro di legno e due fisarmoniche lo precedono accompagnando is goccius de Santu Srabadori (foto 4).

Lo scoppio de is guettus (i mortaretti) annunciano l’inizio della processione per le quattro vie. All’uscita dal Villaggio un solenne applauso accoglie il rito della vestizione che protegge il simulacro nella corsa mentre adulti e bambini arrotolano la parte bassa del saio in vita attorno al cordone per non ostacolare i movimenti.

I fortunati arrampicati su grossi ruderi possono apprezzare il rapido processo di agglutinamento di mille sai bianchi ansiosi di udire il mortaretto che annuncia la partenza della corsa di 50 minuti per i sette chilometri che portano alla chiesa di Cabras.

Al botto de su guettu il portabandiera si accerta che i portatori del simulacro coperto siano pronti e dà il via alla corsa (foto 5 e 6). Si parte, qualcuno ripiega ancora le maniche del saio fino alle ascelle e mano mano tutti e mille prendono velocità (foto7).

All’ora del pranzo è piovuto, il sole scalda ma non brucia, manca il polverone sull’ampia strada sterrata del Sini. La brezza è leggera, aiuta i corridori e non disturba l’incedere del portabandiera. Unica spina le pietre aguzze sotto le piante dei piedi riarsi; poche le generose pozzanghere. Il serpente bianco insegue tortuoso la sua lingua, il vessillo purpureo che sventola vanitoso fra il verde degli alberi e il giallo delle stoppie.

Ai lati del percorso la folla è rapita dall’intensità dell’evento e accoglie is curridoris con applausi ed incitazioni (foto 8). Da una parte l’emozione strappa alla folla qualche lacrima, dall’altra l’esaltazione d’aver partecipato alla corsa permette agli scalzi di ignorare le fatiche e le fitte ai piedi. Le fatiche non sono finite, sulle gambe grava ancora il peso del giorno prima e finita la strada bianca inizia il caldo asfalto. Qui le auto sono ferme, lunga è la fila.

Si capisce che gli scalzi col simulacro hanno raggiunto Cabras per la magnifica pioggia di fuochi d’artificio (foto 9). Gli scalzi in paese vanno al passo in processione, liberano il simulacro dal rivestimento e faticano ad avanzare fino alla Chiesa di Santa Maria Assunta in un’ondeggiante mare di folla. Quando Santu Srabadori raggiunge la sua cappella le campane suonano a festa: arrepìcanta (foto 10 e se gradite udire anche i suoni della festa li troverete nel mio video: http://www.youtube.com/user/Ferme52?feature=mhee).

Dopo il rito religioso qualcuno si riposa con i piedi a bagno, altri spingono i passeggini dei propri figli ma i più, dopo la penitenza, si ristorano nella mega grigliata di pesce e buon vino.

 
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Commenti (1)


  1. sembra di essere li….. bravo!!!

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