Il FAI da venti anni la domenica successiva all’equinozio di primavera apre i suoi beni al pubblico ed organizza, con l’aiuto delle comunita’ locali, visite guidate a luoghi che di solito non sono mai aperti al pubblico.
Quest’anno in Valle d’Aosta la meta era Nus. Nus è il penultimo paese prima di Aosta, ed è stato duramente colpito dall’alluvione del 2000.

Letto il programma, prima sul sito del FAI, e poi più dettagliatamente su quello del Comune, abbiamo raggiunto il paese verso le 10,30 di domenica; non c’era ancora molta gente, l’ora legale aveva impigrito qualcuno, così abbiamo deciso di incominciare la visita dal castello sulla collina, raggiungibile con un comodo pulmino.

Dopo pochi minuti partivano due mezzi, affrontando decisi la stretta stradina a tornanti per la frazioncina Le Chateau, che offre scorci impagabili sulle montagne innevate dirimpetto (soprattutto sulla Becca di Nona e l’Emilius), sul paese e sulle sue frazioni, e poi sui vigneti, colorati qua e là dalle nuvole rosa dei fiori di pesco e da quelle bianche di pruni e ciliegi.

Al castello ci aspettavano le aspiranti cicerone. Il maniero si trova in una splendida posizione, uno sperone a picco sul torrente che scende dal vallone di San Barthelemy. Sulla trave di ingresso c’è la data 1595, che dovrebbe corrispondere alla ricostruzione nell’assetto attuale dopo un incendio.

La prima costruzione potrebbe risalire al XIII secolo, data desunta dalla fattura della torre crollata all’inizio del XX secolo e da un carteggio riguardante un giuramento del 1337 che coinvolge i signori di Nus; tuttavia, secondo alcune fonti, potrebbe essere già stato costruito nel X secolo.
Pare che ad un certo punto sia bruciato, per cui fu riedificato, utilizzando la torre circolare per saldare i due corpi, quello parallelo alla valle e l’altro, ortogonale. Attualmente è proprietà privata, abitato al primo piano dall’attuale proprietario,

Purtroppo da decenni non viene fatta nessuna manutenzione alla struttura, e in quello che doveva essere il salone d’onore, la fascia con un ciclo di affreschi che decora le pareti e corre sotto quel che resta di un bel soffitto in legno dipinto, è danneggiata e rischia di andar perduta per via del tetto a giorno che dovrebbe essere rifatto.
Gli affreschi daterebbero 1680. I primi gradini della scala a chiocciola, simile a quella di altri importanti castelli valdostani e francesi, sono scavati nella roccia, le finestre e la porta hanno cornici in pietra verde, sulle mura del castello si vedono tracce degli archi tamponati di un loggiato.

Completata la visita, con un po’ di amarezza per lo stato in cui si trova il castello, decidiamo di scendere a piedi la bellissima mulattiera che attraverso vigne e piccoli campi coltivati, in meno di mezz’ora ci riporta al paese.
Qui giovani in costume ci accompagnano al rullo dei tamburi lungo la via principale, dove suona la banda, e dove artigiani e produttori locali offrono creazioni in legno intagliato e i formaggi e il miele dei pascoli dell’alta vallata. Tra di loro, Silvana, che conosco da anni e che porta d’estate le sue mucche da Lignan a Champlong, con un percorso di diverse ore.

Lungo la via, alcune case con particolari notevoli e il castello di Pilato, recuperato con un buon lavoro, coperto con una copertura trasparente, attrezzato con una scala che consente di salire e vedere il paese dall’alto. Al pianterreno è stato ricavato uno spazio interessante per esposizioni, che ospita una mostra di quadri.

Tornando sulla strada principale attira l’attenzione la postazione dell’Osservatorio Astronomico di Lignan, l’unico della val d’Aosta, dotato di un telescopio con specchio di 80 cm., che si può visitare su prenotazione. Decidiamo di salire a Lignan. La strada mostra ancora le ferite dell’alluvione, riconoscibili ancor di più se, come me, si ricorda com’era prima. Il meteo è buono, in barba alle previsioni che non erano così ottimistiche.

E’ presto, così proseguiamo oltre l’osservatorio alle frazioncine alte, dove una bella panca in una nicchia ci ripara dall’aria e ci regala uno splendido panorama sull’envers (destra orografica della Dora) e le sue montagne, e di fronte, sulla cima Longhede e la Becca d’Aver.
Alle 14,30 torniamo a Lignan per arrivare all’osservatorio con un po’ di anticipo, come ci è stato raccomandato. Peccato che non tutti siano così corretti e puntuali… Alle 15 e dieci incomincia la visita. Siamo in ventisei, compresi quattro bimbi di cui uno piccolissimo e urlante, e un cane, lui invece buonissimo e silenzioso.

Ci introduciamo nel locale del telescopio, prendendo posto intorno alla piattaforma che viene fatta salire vicino allo strumento. Ci spiegano che serve, oltre a vedere, anche a fotografare, e siccome le pose devono durare almeno una trentina di minuti, il computer a cui è collegato lo mantiene direzionato verso l’oggetto stellare da riprendere, tenendo conto della rotazione della terra. Lungo il percorso verso l’osservatorio e nel corridoio d’attesa ci sono delle foto bellissime di stelle, galassie e pianeti.

Dopo una interessante lezione, scendiamo dalla piattaforma ed usciamo in mezzo alla batteria di piccoli telescopi, e a turno cerchiamo di osservare Venere, visibile anche di giorno. L’abbiamo vista in pochi, c’era qualche nube vagante, io sono stata tra quelli, un piccolo spicchio bianco, come quello della luna quando è giorno.

Successivamente siamo scesi in laboratorio e questa volta ci sono state spiegate un po’ di cose sul sole, proiettato contro una parete, del quale abbiamo osservato alcune macchie solari, e uno strano fenomeno di increspatura dell’atmosfera, a dire del nostro cicerone, abbastanza raro. Per ultima, la luce del sole che attraverso un prisma, scomposta nei colori dell’arcobaleno; tante domande, specialmente sugli asteroidi che vengono studiati anche qui, e sui progetti di ricerca collegati alla Nasa.

Finito il giro, riscendiamo a valle dopo un’altra splendida giornata FAI; gli organizzatori di questo evento non tradiscono mai le aspettative.

 
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