Si è svolta, domenica 17 marzo, a Napoli presso il Cimitero di Santa Maria del Popolo, più comunemente noto come Cimitero delle “366 fosse”, una particolare “mattinata culturale”, al di fuori dei soliti circuiti delle visite guidate, a cura dell’Associazione Culturale Terramia.

Rientrante nella politica di risistemazione urbanistica iniziata da Carlo di Borbone, il Cimitero delle “366 fosse” è il primo cimitero per i poveri.
Esso sostituì la pratica di sotterrare i morti nelle cavità degli ospedali e delle chiese, in particolar modo, una grande “fossa comune” presente all’interno del Complesso degli Incurabili chiamata “piscina” e che fu sfruttata ampiamente durante l’epidemia che colpì Napoli nel 1656.

La sua storia, però, è insita nel suo stesso nome: “ 366 fosse”.
Realizzato da Ferdinando Fuga, il cimitero serviva a dare sepoltura ai morti di una stessa giornata: una fossa per ogni giorno dell’anno.
Le salme del primo giorno dell’anno venivano calate nella fossa contrassegnata dal numero uno, quelle del secondo giorno nella fossa numero due. Così avanti nel tempo, giorno dopo giorno, secondo una rigorosa successione ciclica, si arrivava fino all’ultimo giorno dell’anno utilizzando la fossa numero trecentossesantacinque mentre il ventinove febbraio, in coincidenza degli anni bisestili, si utilizzava quella contrassegnata dal numero trecentosessantasei.

Entrando nel sito, si avverte da subito l’aura di monumentale sacralità: ci si ritrova in una piazza quadrata, spoglia che riporta indietro nei secoli facendo sentire dentro se stessi quella povertà e quel dolore vissuto da quei corpi ammassati, di giovani, anziani, bambini, uomini, donne, che non si potevano permettere una degna sepoltura.
Dalla tessitura diagonale della pavimentazione emergono quelle pietre tombali che tanti corpi hanno accolto in una fossa comune… come in un unico abbraccio.
Ogni pietra, di forma quadrata e della dimensione di ottanta centimetri per lato, presenta un numero in cifra araba scolpito a mano, inscritto in un cerchio, attorno al quale sono disposti tre anelli che servivano a sollevare le pietre che occludono le fosse.

È storia di vite umane quella testimoniata dal Cimitero delle “366 fosse”, vite, di cui ad un certo punto, se ne provò commiserazione quando nel 1875 il Cimitero ricevette, in donazione, una macchina funebre in ferro che rendeva meno macabro un rito delicatissimo e carico di sofferenza.

E così, camminando con ossequioso silenzio, stando attenti a non calpestare quelle fosse che un “piede distratto e inconsapevole” calpesterebbe, viene in mente una citazione di Renato Fucini che, presente ad un rito di sepoltura nel 1877, scriveva: “Vi sono impressioni che non si raccontano, ma si pensa e si tace perché la parola è insufficiente”.

È stata una “mattinata culturale” particolare quella proposta da Terramia giacchè con delicatezza e rispetto della vita umana si è voluto far conoscere e approfondire uno dei tanti momenti storici del proprio territorio, così carico di meraviglie per le bellezze storico-artistiche e archeologiche, ma così ricolmo di racconti di vite, ricco di tanti aspetti della quotidianità di cui, ancora oggi, si conosce ben poco.

Le foto, riguardanti il Cimitero delle “366 fosse”, sono state scattate durante la “mattinata culturale” promossa dall’Associazione Culturale Terramia-Assodipendenti, domenica 17 marzo

 
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