Le lezioni di microbiologia arrotolate sotto braccio e un cono giallo di cartastraccia colmo di “castangia de Napoli” nella mano: col mio amore era un rito fermarsi a quel banchetto che profumava di ceci arrosto fra semi salati di zucca, bacche di mirto, corbezzoli tifosi della Roma e carruba dolce e asprigna ad un tempo all’angolo de s’arruga de sant’Antuneddu in Stampaxi.

Così chiamano i suoi abitanti la parte settentrionale di Stampace, uno dei quattro vecchi quartieri di Cagliari, fondato dai pisani nel 13° secolo, ad ovest del Castello: tra sa passillara (corso Vittorio Emanuele), s’arruga deretta (via Santa Margherita), Sant’Elmu (fosso di San Guglielmo) e sa murialla (via Cammino nuovo).

Questo rione di Stampace (foto2) comprende s’arruga de is cuxinas (via portoscalas), la parallela de s’abbeveratoriu (via Azuni) e le sue perpendicolari: s’arrug’e monti (via ospedale), de Santu Paulu (via Giovanni Siotto Pintor), de Sant’Antuneddu (via Carlo Buragna), de Santa Restituta, de Sant’Anna (via Sant’Efisio), de Valenticu (via Fara).

E’ una borgata di case semplici ma con tante chiese: Sant’Anna, Sant’Efisio, Santa Restituta, San Michele. In s’arregodu (nei ricordi) di Angelo Podda, stampacino doc, cresciuto in via Santa Restituta, si assapora Stampaxi de ariseru (di ieri) “Per ciascuna di quelle strade ritorna il ricordo di un amico ancora in vita o scomparso, di una situazione comica o tragica, del primo amore, dei battibecchi sportivi in Piazza Yenne, delle interminabili dissertazioni sportive sul calcio, sulla boxe, e la rivalità sulla preferenza dei cantanti… In quelle strade non si sente più l’accento stampacino: si sentono invece accenti altrettanto nobili, come il campidanese dell’interno, o il nuorese e il logudorese dei tanti studenti fuori sede, ma non la nostra tipica parlata stampacina. Si respirava ogni giorno un clima di promiscuità sociale che però non ammetteva distinzioni, per cui i ricchi si confrontavano con i meno ricchi; i laureati e i liceali stavano a fianco degli operai e degli artigiani; e tutti insieme uniti si ritrovavano nei giochi di strada, nelle feste di quartiere, nelle attività sportive, nelle associazioni religiose e laiche”.

E Giuseppe Marcialis ricorda come nel “dopoguerra dove i nostri padri avevano una gran voglia di ricostruire la nazione, distrutta dalla spietata guerra civile, per assicurare a noi piccoli un futuro migliore ecco nelle vie del quartiere il venditore di frutta e verdura con il suo negozio mobile, ovvero un carro trainato da un asino che vendeva “figu murra o scritta, muscareddu, piringinu e pira camusina “, il vecchietto ortolano con il suo carrucciu offriva “arravunelleddu belle e friscu”, s’apixedda che proponeva “varecchina e sapone asborno”, la donna con sa crobi bendiara “murtaucci durci durci” e “ulione”, s’acconciacossius, sciveddasa e “peraccusu”, “scoppetine” e “battipanni” , s’accuzzaferrusu. Nel pomeriggio a bordo del suo carretto triciclo entrava in scena il gelataio con le sue “cassatine granite” e “coni gelati”. Eran tempi quelli dove bastava davvero poco per essere felici. Una vita quotidiana semplice che non c’è più. Ricordi che portano alle mente l’epopea di un mondo pulito, innocente dove c’erano tante persone altruiste; un periodo davvero impareggiabile” (vedi http://www.stampacinidoc.it/).

Questo mondo, questo altruismo si è voluto rivivere domenica scorsa per la undicesima volta con la sagra Cuccurus cottus, l’unica festa autofinanziata della città. Messe da parte per un giorno le polemiche degli anni scorsi, le scissioni, le discussioni sugli stemmi e il nome della sagra, is Cuccurus cottus ovvero le teste calde per una sera hanno fatto pulsare al ritmo magnetico della ratantina il cuore del loro quartiere.

Mentre un’unica e bella grande famiglia diretta da Vito Casti (foto 1 e 10) infuocava via Azuni con piatti e tamburi al ritmo di “donami una cicca, donamindi un’attra, custa non mi basta ie ie ie!” (dammi una sigaretta, dammene un’altra, questa non mi basta ra ta tan, da cui il nome di ratantina), una fila interminabile di famiglie locali e giunte dai paesi e numerosi turisti hanno gradito “su cumbiru” a base di malloreddus (gnocchetti sardi), lissa e sardina arrustia (muggini e sardine arrosto), pane casareccio, anguria e vino a volontà (foto 3,4 e 5).

Non possono mancare i Karapigneris di fronte alla chiesa di Sant’Anna che, quasi completamente nascosta dalle impalcature, merita ancora oggi il detto “sa fabbrica ‘e Sant’Anna” che per i cagliaritani è qualcosa di interminabile: prima pietra nel 1785 e ultimo campanile nel 1938 (foto 6). Sarete curiosi di sapere che fanno i Karapigneris: col piede sinistro in avanti, piegati su is barriles in legno di castagno colmi di pezzi di ghiaccio, ruotano la sorbettiera piena di acqua, zucchero e limone e aggiungono sale al ghiaccio per abbassarne ulteriormente il punto di fusione; poi con una paletta metallica, su ferru ‘e ferru, scrostano e sminuzzano la limonata solidificata lungo le pareti ed l’antico gelato di Aritzo è pronto da offrire (foto 7, http://www.youtube.com/watch?v=TARnev4xUMU).

La baldoria è andata avanti fino a tarda notte. Sul palco principale antistante la Chiesa di San Michele si sono esibiti la Statale 131, l’Armeria dei briganti e Pille TAQB. Piazza Sant’Efisio è stata animata dal gruppo di Giuliano Salis (foto 9). Nella accogliente Cripta di Santa Restituta si è esibita cantando e suonando la chitarra Lidia Lai accompagnata alla fisarmonica da Loredana Sanna (foto 8). Festa pure nella scalinata di Sant’Anna col karaoke di Gianni e Franco.

Nonostante molte case nel quartiere siano prive d’intonaco, i mattoni si sgretolino e alcuni cornicioni mettano paura, grazie alla tenacia del presidente Giovanni Troja e i soci stampacini dell’Associazione di Volontariato Onlus Cuccurus cottus Stampace si è ben realizzata la sagra estiva onorando l’orgoglio stampacino non solo facendo conoscere la storia, le tradizioni e la cucina locale ma soprattutto favorendo il piacere d’incontrarsi.

 
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