Tornando a casa dai campi, mi fermo alla croce de su frontigheddu, un piccolo rilievo che guarda sull’anfiteatro col santuario di Santu Antine. Il sole primaverile mi abbaglia, ho un brivido, sento l’afa dei primi di luglio, il profumo dei fiori misto agli odori dell’arrosto di anguille e porchetto, della cera delle candele, della polvere da sparo dei fucilieri. Un polverone circonda i lucidi cavalli arabosardi che cavalchiamo audaci in camicia bianca e pantaloni neri.

Tutti di Sedilo, uno porta sa pandela madzore, due lo proteggono, uno con la bandiera gialla, l’altro con la bianca. Il prete benedice e lentamente si avvia al sacrato. Fatichiamo a tenere i cavalli, mentre i fucilieri tengono a bada le ali di folla sparando polvere mista a crusca e sughero.

Esplode l’urlo della folla muta quando la pandela madzore si butta nella ripida e sdrucciolevole discesa verso l’arco protetta dai due alfieri con le bandiere a mo’ di lancia. Non so come ma anch’io sono tra i cavalli e le camicie bianche al pericoloso passaggio dell’arco, alla prima curva, ai 7 giri intorno alla chiesa, alla discesa verso sa muredda, un cerchio intorno ad una croce, e la risalita al santuario col cavallo ansimante nella polvere.

Festoso io rientro la sera tarda in paese dove una notte di canti, sfide alla morra e fiumi di vino mi attendono aspettando la nuova corsa dell’indomani mattina senza spettatori e turisti ma non meno violenta e rude. Un saluto e mi risveglio dal sogno, sono ancora a su frontigheddu a fissare il lago.

 
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