Venerdì 27 gennaio 2017, in occasione della “Giornata della Memoria”, Torino si è fermata per ricordare tutti i deportati ebrei, partigiani e dissidenti politici, che tra il 1943 e il 1945 sostarono nelle celle del carcere Le Nuove in attesa di giudizio. Il ritrovo era fissato alle 9:45 sotto la lapide commemorativa dell’A.N.E.D., (Associazione Nazionale Ebrei Deportati), davanti all’attuale binario 17 della Stazione di Porta Nuova, dove alle 10 è stata deposta una corona e dove si è fatto un momento di silenzio a ricordo delle vittime.

Dopo l’accensione della lampada ad olio, la manifestazione è proseguita con la fiaccolata del corteo in assoluto silenzio che ha attraversato la città percorrendo corso Vittorio Emanuele II e via Paolo Borsellino, lo stesso percorso che facevano i deportati, fino a giungere all’ingresso del carcere. Percorrendo la Strada di Ronda siamo entrati nel “Braccio Femminile” per la commemorazione delle donne deportate, con un ricordo particolare per Suor Giuseppina di Muro e dei bambini ebrei presso l’ex asilo nido situato al piano terra del braccio femminile.

Nel famigerato “Braccio Tedesco” è invece avvenuta la commemorazione dei deportati meno noti, con un momento di silenzio davanti alla cella di Padre Giuseppe Girotti, che venne arrestato il 29 agosto 1944 per aver aiutato e favorito la fuga di ebrei perseguitati, venne rinchiuso nel carcere a Torino e poi deportato a Dachau dove mori il 1º aprile 1945. La giornata si è conclusa scendendo nei sotterranei, dove davanti alle celle dei condannati a morte, sono stati deposti i lumini e recitato la “Preghiera del Deportato”.

Un po’ di Storia
Durante gli anni del fascismo le SS gestirono il Braccio Tedesco del carcere dal 1943 al 1945, usando la deportazione e le torture come punizione per qualsiasi reato. In questi anni circa 23826 italiani (22204 uomini e 1514 donne) vennero deportati nei campi di concentramento in Germania. Tutti i deportati piemontesi passarono per le celle del carcere “Le Nuove” in attesa di giudizio; i condannati a morte venivano rinchiusi nelle celle a loro riservate, prelevati e accompagnati al Martinetto da Padre Ruggero. Nel braccio tedesco vennero rinchiusi molti oppositori, partigiani ed ebrei, come ad esempio Ignazio Vian partigiano di Boves che con i suoi 150 uomini affrontò i tedeschi sulla Bisalta (Cuneo). Ricercato, venne arrestato a Torino il 19 aprile 1944, rinchiuso nella cella numero 17 e torturato ogni giorno perché svelasse i nomi e i nascondigli dei partigiani. Il suo silenzio lo portò alla condanna a morte per impiccagione che avvenne il 22 luglio 1944.

Emanuele Artom, organizzatore insieme al fratello Ennio di un circolo ebraico con lo scopo di indagare sulla propria e appartenenza tra i cui iscritti vi erano nomi illustri come Giorgio Segre, Annamaria e Primo Levi. Nel 1943 si arruolò tra le milizie partigiane con il nome di copertura di Eugenio Ansaldi; il 25 marzo 1944 durante un rastrellamento le SS riuscirono ad intercettare e raggiungere il gruppo di partigiani. I suoi compagni riuscirono a fuggire, mentre Artom sfinito dalla stanchezza venne catturato insieme al compagno Ruggero Levi che non lo abbandona e resta vicino al suo maestro. Ebreo e dissidente politico subì atroci torture e sevizie, alcune immagini lo ritraggono sul dorso di un mulo con una scopa sotto il braccio, il volto tumefatto e un cappello in testa mentre i tedeschi lo esibiscono come trofeo di guerra. Il 31 marzo varca la soglia del braccio tedesco dove il 7 aprile 1944 muore di stenti per le torture subite. Il suo corpo viene seppellito la stessa notte dai suoi compagni costretti dai tedeschi a scavare la fossa sulle rive del fiume Sangone ai margini della città di Torino, dove ora scorre la via a lui dedicata. Nonostante le numerose ricerche alla fine della guerra, il suo corpo non venne mai ritrovato.

 
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