Il T.T. Club Edera Amicis San Giustino ASD partecipa al campionato di tennistavolo di A1 maschile.
Rispondono alle domande di Comuni-Italiani.it Carlo Polchi, vicepresidente, e Roldano Zappalà, presidente della società di San Giustino, comune in provincia di Perugia.

Vice presidente Polchi, quali sono gli obiettivi stagionali delle vostre squadre?
Premesso che nei campionati minori abbiamo due squadre che militano nel campionato di Serie D1 e una squadra in C2, l’obiettivo è certamente quello di ben figurare in tutti i campionati, cercando di favorire la crescita di qualche giovane già interessante.
Per quanto riguarda la Serie A1, che ci vede all’esordio assoluto, l’obiettivo minimo rimane la salvezza, ma con la convinzione che se i nostri ragazzi continueranno a lavorare con questa intensità potremo toglierci anche qualche soddisfazione.

Quali sono le squadre più quotate per il titolo italiano?
Certamente Siracusa ed Este, quest’ultima già finalista lo scorso anno. I Campioni d’Italia del CUS Torino sembrano meno motivati dell’anno scorso. Il Castel Goffredo punterà comunque ai play off e molto quadrata sembra essere anche Cagliari. Tuttavia il campionato è decisamente molto equilibrato, ma se dovessimo dare una favorita, diremmo Este, già seconda lo scorso anno.

Cosa ostacola la diffusione del tennistavolo italiano?
Le difficoltà sono diverse. Intanto il movimento di base cresce molto lentamente. Il numero dei tesserati in Italia è di qualche decina di migliaia e una grossa fetta di questi sono oltre i 40 anni. Consideriamo che in Germania i tesserati sono diverse centinaia di migliaia e non decine, così la Germania è al top in Europa e, comunque, l’unica nazione in grado di tener testa ai paesi asiatici, Cina, Corea e Giappone.
La domanda che dovremmo porci è: perché il movimento è cresciuto così poco? Perché il Tennis Tavolo ha così poco appeal sui nostri ragazzi come sport agonistico? Forse alcune difficoltà sono più sottili e banali di quello che si potrebbe pensare. Noi riscontriamo, ad esempio, che la pratica del Tennis Tavolo piace ai bambini e lo riscontriamo nell’attività scolastica. Questo si traduce in minima parte in un concreto interesse di dedicarsi più marcatamente a questa disciplina, da parte dei ragazzi stessi. Questo succede certamente perché per cultura e tradizione il bambino cresce con il sogno di misurarsi in un campo di calcio e il clima italiano favorisce ulteriormente questa tendenza. Ma questo aspetto influenza anche i genitori che riversano sui ragazzi le loro aspettative e allora preferiscono mandarli a calcio, ed il Tennis Tavolo lo vedono come Ping Pong, che loro magari hanno provato al bar, in sala giochi o durante le vacanze estive.
Inoltre le Società Sportive per sopravvivere hanno bisogno di tesserati a prescindere dalla loro qualità, questo per aumentare le quote sociali, per avere più chance di accedere ai contributi locali. Ciò significa che se dei ragazzi non sono portati per una disciplina, le società tendono a insistere almeno fino ad una certa età per i motivi di cui sopra. Ovvio che calcio e a seguire pallavolo e pallacanestro la fanno da padroni.

San Giustino A1: Massimiliano Mondello, Sun Xiaomeng, Andrea Bongini

Intravede delle soluzioni?
Difficili. Suggeriamo un’ipotesi: se le società fossero delle Polisportive, non avrebbero interesse a farsi concorrenza una con l’altra, ma attraverso gli istruttori ed altro personale qualificato sarebbero in grado di promuovere un avviamento allo sport abbastanza basico per tutti e poi avviare alla specializzazione in base alle reali attitudini dei ragazzi. Del resto i grandi Club spagnoli, Real Madrid e Barcellona, fanno scuola anche in questo.

Nel panorama europeo e mondiale come si colloca la nostra nazionale, maschile e femminile?
Sono lontani i tempi in cui la nostra Nazionale maschile è arrivata terza ai Campionati Mondiali di Kuala Lumpur. Sono passati 10 anni, nemmeno tanti per la verità, ma oggi viaggiamo in sordina in una seconda fascia di merito piuttosto anonima e, comunque, Kuala Lumpur è stato un bagliore improvviso. Adesso ci sono giovani interessanti che si stanno mettendo in luce a livello europeo con i loro pari età. Speriamo nel genio italiano, perché a volte la presenza di un campione può servire a trascinare il movimento.

Presidente Zappalà come giudica la copertura mediatica dei vostri campionati e della vostra società in particolare?
Marginale. Per quanto riguarda le emittenti televisive che operano a livello nazionale, Raisport si limita alle riprese di una sola partita di serie A1 per ognuna delle giornate in cui sono previsti gli incontri di campionato; se si considera che nel totale le giornate sono solo 14 si fa presto a fare due conti su quello che è il tempo di visibilità verso il pubblico televisivo nazionale. Le cose vanno un po’ meglio in ambito locale grazie all’intervento delle TV regionali, tuttavia quando c’è, si tratta di un interesse a pagamento. La stampa devo invece dire che risponde abbastanza bene e gratuitamente; però è quasi sempre vero che riusciamo a trovare spazio nelle pubblicazioni cartacee quando siamo direttamente noi ad inviare i redazionali.

Come si muove, invece, la Federazione in supporto alle società?
In ambito federale c’è qualche nuova iniziativa. E’ di pochi giorni fa un articolo apparso nel sito della F.I.Te.T. (www.fitet.org) che annuncia un accordo ulteriore con Raisport per avere a disposizione uno spazio settimanale di 30 minuti dove i contenuti presenti saranno quelli prodotti direttamente dalle società sportive. Per ogni società si tratterà di avere uno spazio a disposizione di 4 minuti relativo a filmati video che potranno contenere immagini delle gare ed interviste. La Rai farà una valutazione del materiale pervenuto e monterà un prodotto con i vari contributi che selezionerà a suo insindacabile giudizio. Aspettiamoci una qualità delle riprese che difficilmente potrà andare oltre l’amatoriale, tuttavia mi sembra un buon punto di partenza per garantire una visibilità equamente ripartita fra le varie società che militano nella massima serie nazionale.
Questa iniziativa potrà favorirci perché in parte siamo già strutturalmente pronti. Infatti, da quando la nostra prima formazione è in serie A, abbiamo sempre prodotto in casa i contenuti video da pubblicare nel nostro blog www.ttamicis.net e che poi hanno ben circolato in rete grazie a youtube e a Facebook.

La crisi economica condiziona i vostri programmi?
Decisamente sì, soprattutto per una società come la nostra che, essendo fortemente attiva in ambito nazionale, ha grandi costi di gestione. Lo scorso maggio eravamo fortemente in dubbio se iscrivere o meno la prima formazione al massimo campionato di serie A1 per la stagione in corso. Ciò accade in verità ogni anno in quel periodo, perché nel momento in cui si fanno bilanci preventivi non si ha mai la certezza assoluta della copertura economica. La crisi mette ancora più in risalto questo problema e ci vorrà una dose sempre maggiore di coraggio per intraprendere impegni ad alto livello. Parlo di coraggio perché anche in questo istante alcuni di noi sono in giro a batter cassa con gli sponsor che hanno promesso l’aiuto come da contratto, oppure bussano porta a porta alla ricerca di nuovi contributi. E trovano molte porte chiuse.

Gli allenatori del San Giustino impegnati in una scuola

Quali sono i vostri rapporti con la comunità di San Giustino: altre società sportive, tifosi, istituzioni?
Odio e Amore verso tutti. Gli attori qui descritti sono gli ingredienti fondamentali per lo sviluppo di qualunque movimento sportivo. E’ chiaro che se non c’è la partecipazione dei tifosi, se non c’è l’interesse delle Istituzioni esplicitato in primo luogo con la messa a disposizione degli impianti sportivi, se non c’è sinergia con le società che operano nella nostra stessa disciplina o in discipline differenti, allora il rapporto diventa amaro e demotivante, non solo per chi governa la società sportiva, ma anche ed in primo luogo per i nuovi potenziali che la società potrebbe accogliere.
Ma il problema fondamentale è che nel nostro sport niente viene da sé perché i riflettori non sono puntati quasi mai verso di noi. Di conseguenza non c’è mai un interesse che parta autonomo senza che non sia sollecitato da una nostra forte azione.

Il tennistavolo nel secolo scorso ha trovato terreno fertile negli oratori e nelle piccole associazioni. Nel terzo millennio i giovani come si avvicinano a questo sport? Il reclutamento è complicato dalla concorrenza di altre attività sportive?
Penso che il miglior terreno fertile si sia avuto intorno agli anni ’80; quando appunto presso le Acli e presso molti bar trovavi oltre al biliardino ed al juke box anche un tavolo da ping pong. Il terzo millennio mette in gioco due tipologie di concorrenze: la prima è quella che deriva dall’ubriacatura digitale a tutto tondo dove le attività fisiche sono sostituite da quelle virtuali, la seconda proviene dalla molteplicità di offerta sportiva dove agli sport tradizionali si affiancano altre pratiche un tempo sconosciute. E probabilmente è anche giusto che sia così.
Allora sta a noi prendere in mano le redini del gioco impegnandoci direttamente in progetti che ci consentano il reclutamento dei giovani quando è tempo di “coglierli”.

Come e dove?
Secondo noi schierandoci come partner nelle strutture scolastiche.
In questo senso la stagione in corso sembra darci ragione, perché posso dire che c’è una gran fila di richieste che provengono dalle scuole locali e che chiamano un nostro intervento diretto presso la palestra della loro sede. A queste richieste stiamo rispondendo bene nonostante il grande sacrificio che ci costano: le scuole hanno bisogno oltre che di risorse umane anche di strutture che non hanno. Quindi oltre al “Maestro” forniamo anche i tavoli, le retine, le racchette, le palline …
Insomma, il terreno fertile c’è e lo stiamo seminando: speriamo di cogliere buoni frutti nel prossimo futuro.

Il tennistavolo ha una discreta diffusione a livello amatoriale. I non addetti ai lavori, potrebbero non conoscere recenti modifiche alle regole di gioco e allo svolgimento degli incontri. Le può brevemente illustrare e commentare?
Quello della diffusione a livello amatoriale è un argomento che è croce e delizia del tennistavolo. E’ croce perché rilega il nostro sport al pensiero del gioco da bar, come in dettaglio ha risposto già il nostro vicepresidente Carlo Polchi in una delle precedenti domande. E’ delizia perché grazie a questo tutti si sentono in grado di poter tirare qualche colpo e sostenere una partita; e così molti arrivano e vogliono giocarsela al “21“. Sicché molti restano sorpresi sapendo che il SET oggi si vince all’11 con un minimo di 2 punti di scarto e si cambia battuta ogni 2 punti, non più ogni 5 (vi sono inoltre leggende metropolitane sul fatto che il servizio non possa uscire lateralmente o essere corto – la palla che fa due rimbalzi sul tavolo avversario – e non esiste il “cappotto”, 8-1 e/o 6-0).
Ma le regole sono un po’ cambiate anche in altri sensi, ed il cambiamento, giusto a mio parere, è avvenuto per favorire una spettacolarità che prima non c’era: ad esempio le dimensioni della pallina sono state aumentate da 38mm a 40mm; ciò ha permesso di ridurre la velocità di scambio favorendo l’osservazione dello spettatore “non addetto ai lavori”. Sembra addirittura che esista una proposta in ambito ITFF (International Table Tennis Federation) per aumentare ulteriormente il diametro della pallina a 44mm, per rallentare ancora di più il gioco e conseguentemente favorire le riprese TV.
E allora, mi permetta un’incitazione: che vengano spettatori e giocatori . Qualunque età essi abbiano, nel nostro tennistavolo ci sarà sempre uno spazio aperto per tutti.

 
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